Otto anni fa mi vinceva la nostalgia mentre uscivo dalla città, costretta a partire per una ennesima volta.
Con immutato amore, oggi.
Lasciatemi dire.
Ho salutato la città percorrendo la via più difficile: al tramonto, il mare sulla destra, la Muraglia a sinistra.
Il sole sanguigno, in un alone luminoso, ha tinto di rosa le pietre di Bari vecchia.
Se fossimo altrove, scenderebbe la sera e con lei la calma, il riposo…
Qui, no!
Le strade si popolano con un movimento incessante, un brulichio infinito con regole surreali e imperscrutabili.
Gente dappertutto. Fermento e preparativi come per un banchetto di nozze. Le auto in doppia fila incastrate con fantasia: un merletto intorno ai marciapiedi.
Gli spazi pedonali occupati da banchi e abusivissime griglie e carbonelle, pronte per arrostire vassoi di carni e spiedini dal nome impronunciabile.
Casse di birra ghiacciata, bibite varie.
File di popolo a cavallo o a ridosso dei muretti e crocchi di patriarchi e matrone sistemati su sedie pieghevoli portate da casa.
Frotte di bambini, passeggini, mamme, nonne. E ancora carovane e manipoli di famiglie, in uno sciame scomposto, come profughi, si dispongono a boccheggiare all’aria serale.
Flusso disordinato e allegro, rumoroso e chioccio, di nomadi e stanziali che si accampano con tavoli, scranni, sgabelli e sdraio.
É una organizzazione atavica e collaudata che invade tutto il lungomare: fra poco si inizierà a mangiare, a bere e a godere il fresco.
Quest’onda scandalizza la Bari più signorile, quella nella norma, che anche io meglio conosco e comprendo.
Ma la realtà del lungomare a nord del centro è una giostra popolare e ruspante, una città “altra” fuori regola, che però è linfa e radici di questo posto.
Assisto attonita e perplessa, da estranea, sapendo bene che si compie un rito antico, che divide la città in due parti distinte che non si possono mescolare.
Io osservo da forestiera, invaghita del luogo, e colgo un respiro primitivo e selvatico, da festa pagana: si celebra sguaiatamente il cibo e la birra, si saccheggia la costa in una liberatoria conquista dello spazio.
Lì a pochi metri sonnecchia il mare, che stasera, calato del tutto il vento, sospira nella bonaccia, come un pachiderma sereno e indifferente alle grida e ai fumi che salgono al cielo come da improvvisati altari da sacrificio.
Non mi sento di commentare: le immagini restano sospese e il mio non è uno sguardo ironico, casomai stupefatto.
Testo di Alessandra Cinelli
Fotografia di Manlio Ranieri

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