Il tempo in cui la 48 era over e il 28 under.

E si doveva scendere o salire, rincorrendo numeri. Chilometri e centimetri. Quelli sulle confezioni, quelli sulle bilance, quelli sulle linee, quelli sulle pagelle.

Ed era tutto una squadra, ma ci si sentiva soli, tutto un goniometro ma non c’erano curve, tutto un contapassi ma non si andava da nessuna parte.

Una vita in cifre, tra misure e codici a barre, obiettivi e rinunce. Gli specchi ti mettevano a disagio, come le fotografie e i commenti sul culo.

Niente era abbastanza.

Il peso e la lode, l’attitudine, la competenza, la bravura, l’eccellenza.

Ed ogni sbavatura era una cascata.

Ogni neo un buco nero.

Pensavi di poter controllare tutto: il corpo e le variabili, il tuo cuore affamato e la pochezza del sentire altrui.

Gli altri erano burattini del tuo teatro e tu un Mangiafuoco troppo sensibile.

Per questo hai fallito, per questo hai perso anni e persone.

Non avevi capito come essere giusta. E volevi, volevi a tutti i costi essere una brava studentessa, una brava atleta, una brava figlia, una brava amica, una brava fidanzata.

Non avevi capito che la categoria del giusto è aleatoria come quella del gusto. Ma adesso lo sai. Adesso sai perdonarti.

Libera di non essere perfetta, libera dai numeri, libera dal controllo.

Non è mai facile essere liberi quando non puoi uccidere il tuo aguzzino.

L’hai invitato a cena, quella volta.

E avete parlato. Avete fatto a botte. Avete riso e pianto.

Ogni tanto bussa alla tua porta, quando sei più fragile. É pronto a dirti che non sei giusta, che non vai bene, che potresti essere meglio.

Una brava lavoratrice, una brava figlia, una brava amica, una brava fidanzata.

E allora prepari il caffè per il tuo assassino.

Lo affronti, ti fa male. Sempre.

Ma hai scoperto la fluidità, la categoria del relativo, l’assoluzione, l’importanza di perdere.

Adesso hai tutte le risposte.

Puoi essere amata per quella che sei.

Non hai bisogno di essere sempre al primo posto.

Puoi tranquillamente fregartene, fare le quattro, dormire tutto il giorno, correre quando ti va, mangiare una pizza, sbagliare strada, sbagliare persone.

Sbagliare tutto.

Non ci saranno giudici più severi di quelli che hai già dentro. Li hai dovuti incatenare alla loro stessa tribuna, perché Beccaria, nel tuo mondo interiore non è mai nato e non ha mai scritto.

C’è sempre stata troppa crudeltà, accanto alla tenerezza.

E dovevi trovare un modo. Non hai mai voluto essere la colazione delle 6 e 06 , di latte d’avena e 4 cereali messi in fila.

Tu sei gli spaghetti a mezzanotte.

Il modo in cui mangi tu gli spaghetti è unico al mondo. E lo sai. Non è solo grano, non è solo cibo: è un inno alla libertà.

Lo so che hai amato persone che ti hanno detto che non eri giusta. So che sono state tutte cattivi lanciatori di coltelli. E mentre eri crocefissa alla ruota del giudizio, mentre ti laceravano le fibre, avevi tutto il diritto di urlare.

L’ultima volta hai sorriso, mentre sanguinavi.

Sono stata orgogliosa di te.

Cosa ne sanno loro? Le tue ferite guariranno. Chi te le ha fatte non sa di averne altrettante.

Ad ognuno il suo assassino.

Ad ognuno il suo.

E se ti arrabbi, se vai oltre, se osi anche tu lanciare un coltello, non ti vengano a dire che sei una persona crudele. È l’ultima cosa che faresti, conoscendola così profondamente, e se lo fai,se lo fai, se lo fai…vuole dire che ti hanno fatto tanto tanto male.

Ancora.

Quindi perdonati.

Non hai bisogno che lo faccia qualcun altro.

Tu sei gli spaghetti a mezzanotte.

E vai benissimo così.

Delia Cardinale

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