Certe notti sogno di attraversare una siepe e ritrovarmi in altre parti del mondo.
Questo – ed altri retaggi onirici – arrivano dritti da una vita impregnata di letture e film fantasy, di incursioni più o meno assidue e durature nel regno della fantasia.
Mi sono chiesto spesso quale fosse la parte della mente adibita a discernere il reale dall’impossibile, che ci dispone a un patto narrativo nel quale ci lasciamo affascinare da tutto quanto è magico e fantastico, salvo restituirci intatti ai nostri giorni babbani di sempre.
E se invece qualcosa di inspiegabile accadesse, come reagiremmo?
Per oltre sessant’anni due ragazzine inglesi hanno convinto il mondo di aver fotografato delle fate autentiche, al punto che lo stesso Arthur Conan Doyle, autore di Sherlock Holmes, ne scrisse un libro intitolato: “Il ritorno delle fate”.
Solo moltissimi anni dopo, quando era ormai anziana, una delle due ragazze confessò che quelle foto erano state frutto di uno scherzo ai genitori.
Purtroppo.
Talvolta penso che sarebbe bello rendersi accoglienti all’imponderabile, abdicare al ruolo di creature supreme nel mondo e percepire i sussurri di altre ipotesi di vita.
Da bambino ero stregato dalla pagina finale di alcune riviste, quella in cui apparivano le pubblicità di penne per guardare attraverso le porte, apparecchi per ascoltare conversazioni lontanissime, c’era addirittura un dispositivo chiamato ‘Teledomino’, che consentiva di controllare con la mente la volontà altrui.
Ma l’inserzione che mi faceva battere il cuore era una sola: quella delle ‘Scimmie di mare’.
Per sole dodicimilanovecento lire potevi acquistare una polverina da sciogliere in acqua, dalla quale sarebbero nate delle piccole creature marine, che – veniva assicurato – avremmo visto nascere, crescere e riprodursi.
Ed erano incluse anche le istruzioni per ammaestrarle!
Nell’immagine dai colori vivaci le scimmiette erano raffigurate con fattezze umanoidi, dotate però di coda e antenne sulla testa, mentre abitavano felici il loro acquario fatato.
Le desideravo con tutto me stesso – mia sorella maggiore mi forniva inconfutabili prove scientifiche della loro esistenza – ma non ci è mai stato permesso di acquistarle.
Così guardavo quell’inserzione e sentivo che – nell’affresco di fantasia di cui andava componendosi la mia vita – quelle creature rappresentavano l’unico punto di contatto fra due dimensioni, la prova provata che il magico esiste, che tracce di Atlantide scorrono dai nostri rubinetti, che una ciocca di Ariel può affiorare dal tappo della doccia, che se ti mostri disponibile all’impensabile, puoi diventare sovrano di un mondo sommerso che abita nella tua casa.
Sono felice che non ci sia stato mai permesso di acquistarle, perché non ho mai avuto la dimostrazione tangibile e finale che quell’inserzione fosse una variopinta truffa, e per questo una parte di quella speranza infantile è stata preservata da una probabilissima delusione e un pezzettino di quella possibile, acquatica magia mi è rimasto incastrato negli occhi.

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