Ti ho visto ieri, in un fotogramma remoto, mentre trascinavi avanti e indietro una bandiera della Palestina, scavando un solco senza tempo sul corso della Città di Pietra, ai margini degli aperitivi.
Poco più in là, un torrente torbido scava un altro solco da millenni, creando una di quelle cicatrici della Terra, che da essere ferite sono diventate scrigni di lussureggiante bellezza verde e testimoni dei secoli. Una specie di Kinstugi della natura.
Cosa urlava il tuo corteo silenzioso?
Forse nulla.
In volto ti ho visto una determinazione muta, scavata negli occhi spenti, appena sopra un filo di barba e sotto una steppa di capelli anacronistici.
A chi giova portare quel vessillo ferito?
Probabilmente a nessuno.
Ma fa male al silenzio ossessivo in cui ci stiamo scavando la fossa, e che tutti – nessuno escluso, neanch’io – osiamo scalfire solo nel letto confortevole di sabbia del mondo virtuale, in cui le granate detonano in maniera controllata e sicura, mentre altrove continuano ad esplodere forti e incuranti che, ormai, non ci sia più niente da distruggere. Lo fanno solo per affermare odio e potere.
Al rumore secco e assordante che si sente dall’altra parte di questo lago salato, tu opponi un silenzio fiero e altrettanto assordante, e una bandiera che sventola. Noi opponiamo il nostro silenzio comodo, sperando che arrivi più tardi possibile il giorno in cui ci toccheranno le bombe.

Testo di Manlio Ranieri

Foto di Houssem Bouaza su Unsplash

La bandiera della Palestina © 2025 by Manlio Ranieri is licensed under CC BY-NC 4.0

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