Non mi rispondeva al telefono da tre giorni e puntualmente ci siamo incontrati, per caso, in questo piccolo molo nascosto alle spalle della Tower of London. Darsi appuntamento sembrava superfluo, se non irrispettoso di questo incantesimo che da mesi ci unisce.
Io e te, pavone e cerbiatto. Immagini create per gioco presto diventate qualcosa di più sacro e ancestrale. Quella notte, in una danza tra le punta delle dita, ho sognato di dipingere le nostre figure sulla parete di una caverna, lontana dal tempo e dallo spazio, intimamente profonda. Al risveglio la luce sembrava avere un colore diverso.
Perché tu sei così. Dentro di te ardente vive la forza dell’istinto, ormai sempre più represso. Con un tuo capriccio al ristorante mi hai mostrato la potenza dell’essere donna, nei baci salati da lacrime isteriche ho capito la forza delle tragedie greche, il desiderio che piega la ragione, il momento come unico orizzonte da inseguire.
Madre perché mi hai insegnato i segreti della vita, figlia perché fragile in questo mondo materiale così complicato. Succube della mia razionalità, tiranna con i tuoi turbinii di emozioni.
Passeggiando solitario in questa giornata grigia, pensavo a parole dure e definitive, un modo per spezzare questo incantesimo impossibile da controllare.
E proprio mentre cerco il coraggio di parlarti, coi tuoi occhi fai tempesta dei miei pensieri, con le tue labbra ghiacci le mie parole. Un po’ maga, un po’ pazza, il tuo abbraccio mi culla, chiudo gli occhi e mi lascio trascinare dalla corrente.
Testo di Federico Labriola per Segnali di Vita Pianeta Battiato, laboratorio di scrittura online
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