La figura geometrica in cui la fine e l’inizio coincidono e sono sempre equidistanti dal centro è il cerchio e rappresenta, nelle scienze, la perfezione.

Questa esperienza si chiude (quasi) dov’era cominciata, quindi possiamo dire che ha rasentato la perfezione: il 21 giugno 2021, un attimo dopo aver acquistato il Pit dei Metallica per Firenze Rocks 2022, ho pubblicato sul mio profilo Facebook il video di “One”, scrivendo: ci vediamo il 19 giugno 2022. Forse non ci credevo neanch’io del tutto, dopo due anni di continui rinvii e tentennamenti.

In questa data in cui gli avevo dato appuntamento, invece, i Metallica hanno chiuso il loro show proprio con “One” e “Master of puppets”, quindi è un po’ come se quelle note, quell’energia, non sia mai finita, si sia richiusa nel cerchio perfetto.
“Due anni sono decisamente troppi, per stare senza tutto questo”, ci hanno detto gli dei del metal, mentre bevevano gli applausi finali, che sembrava non dovessero finire mai, probabilmente perché erano proprio loro a desiderare che non terminassero, a continuare a chiederne, a incitarci. “Ci siete mancati”.
Per tutti noi che eravamo lì in mezzo era una verità così assoluta da sembrare assurdo che l’abbiano ammessa solo loro, in tre giornate di festival. Del resto, sempre i Metallica, durante “Fade to black” ci avevano detto, poco prima: “Ricordate che non siete soli. Noi vi amiamo”. Insomma, quelli che dovrebbero avere la scorza più dura, fra le band che hanno calcato il palco di Firenze, si sono dimostrati i più umani. I Placebo sono stati degli alieni – un po’ come lo Ziggy Stardus di Bowie, eh? Mica è una cosa brutta – e i Muse dei supereroi della Marvel. I Red hot chili peppers, invece? Sì: decisamente umani anche loro, ma più ragazzacci caciaroni. Tanti assoli, jam sessions, tanta voglia di suonare e di essere sul palco, anche di scherzare e ridere insieme a noi. Ma quanto a carica emozionale, i quattro metallari di San Francisco ne avevano a pacchi più di chiunque altro.

Ecco, però questo è un dato importante: nei tre giorni in cui ho partecipato al festival, ho visto una cosa che in Italia sembrava essere passata totalmente di moda: ho visto gente che suonava, chitarre che sganciavano riff granitici e interminabili assolo che pensavo fossero ormai tramontati del tutto, e invece no: l’hanno fatto i Muse – che quando decidono di suonare, piuttosto che fare circo, sanno farlo davvero, eccome se sanno farlo – l’hanno ripetuto i Red hot e poi, ovviamente, i Metallica. Ma ce l’hanno detto anche quei quattro ragazzini sbarbatelli del Michigan, quei Greta Van Fleet che hanno incendiato il tramonto di domenica: forse, qui in Italia, quasi nessuno prende più in mano una chitarra o un basso a quattordici anni, ma da qualche parte nel mondo lo si fa ancora: non solo basi scaricate e autotune. 

Com’è affrontare tre giorni di festival rock estivo a quasi cinquant’anni? Sicuramente faticoso, fra le altre cose. Ma, prima di tutto, meraviglioso. [Meraviglia s.f. sentimento vivo e improvviso di stupore e di sorpresa suscitato da persone, cose o eventi che appaiono nuovi, straordinari o inattesi. (Da “Il nuovo De Mauro”)] Anche se di concerti ne hai visti a centinaia, anche se gli stessi artisti li hai visti suonare dal vivo già quattro o cinque volte.
Prima di tutto, va detto, c’era lo stupore di ritrovarsi finalmente insieme dopo due anni, di tornare a vivere quel mondo, di scoprire quanto c’è mancato. Questa sensazione l’ho avvertita in maniera fisica, con un nodo alla gola e un tuffo al cuore, appena ho messo piede nell’arena, e poi tante altre volte ancora. Poi c’è l’idea sacrosanta di condivisione: condividere le canzoni che ti emozionano con la tua compagna o con i tuoi amici vecchi e nuovi, ma quanto è bello, anche, mettere sul piatto le proprie emozioni davanti ad altre cinquantamila persone? Sapere che non sei solo, come ci ha ricordato James Hetfield, sapere che anche gli altri rockettari adorano scatenarsi sulle canzoni più movimentate, ma poi si sciolgono quando sentono l’arpeggio di “Nothing else matters” o di “Otherside”. Sapere, anche, che però l’età media avanza irrimediabilmente: che alle nuove generazioni i festival rock non interessino molto – o forse è proprio il rock a non interessare? Mi piacerebbe essere smentito, ma sono piuttosto pessimista.

Se, poi, mi avessero fatto portar dentro la mia Mirrorless col teleobiettivo, avrei potuto corredare questo post con qualche foto decente. Poiché, invece, me l’hanno fatta lasciare – come se potesse mai venirmi in mente di scagliare contro qualcuno un oggetto che costa più di 1500 €! Bah – quelli di Firenze rocks, a cui vanno tutte le mie benedizioni tranne che per questo episodio, dovranno accontentarsi di un testo fitto fitto senza immagini.
Pessima leggibilità, ma non è colpa mia.

Manlio Ranieri

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*