Bobino Laricchia, Polignano, classe 1948.
Si faceva chiamare Bobino da quando era andato al militare a Livorno.
Eh, quante belle ragazze si era fatto lì.
Adesso a settantaquattro anni suonati si aggirava a Polignano come il fantasma di quello che non è più stato.
Ed era trasandato, irto di pelo, bugiardo, malconcio e aveva un cuore rotto che sanguinava oramai da più di vent’anni.
Ah, se le avesse trattate meglio Loretta, sua moglie e Mara, sua figlia.
Decisero di abbandonarlo in un’alba gelida di gennaio quando la brina copriva le senape del suo campo.
Chi gli avrebbe più preparato il frittatone carico?
Le botte e la schiuma in bocca della sua rabbia cieca le due donne hanno osato cancellare.
Ora era moscio come un papavero sradicato, uno sbilenco essere che camminava o orinava.
Emanava un odore acre e lo sapeva.
Passeggiava per le calette tra Monopoli e Polignano a spiare la gente felice, a tentare di capire dove aveva sbagliato lui.
E a indovinare nella bellezza del luogo dove era nato la faccia di Dio.
Testo e fotografia di Annalisa Falcicchio
per Vivi Vivaci Visionari a cura di Antonella Petrera

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