Il sette gennaio sono i risvegli in un letto feriale, piccolo, disadorno, senza il calore dell’abbraccio e cercando di anticipare la sveglia. Non ho comprato abiti ai saldi, quest’anno, né ho intenzione di sfamare l’avidità delle fauci del Mercato per coccolare la mia vanità invecchiata. Sarebbe bello, piuttosto, essere capaci di scattarsi un autoritratto come quelli di Mapplethorpe, ma che metta in mostra le mie rughe piuttosto che i miei muscoli. Però, dalla Befana, ho avuto tanta grande arte a buon mercato – tre al prezzo di uno – e gli occhi scintillanti di meraviglia e condensa di emozioni, la testa gravida di riflessioni e umanità. E poi ho avuto un giocattolino raccattato per strada, come fossi un accattone, anzi no: un barbone, di quelli che ho visto dormire sotto i portici in una notte gelida, con le coperte termiche addosso e un topo che bazzicava poco lontano; un barbone di quelli a cui qualcuno, per insulsa propaganda, getta le coperte nel cassonetto e si gloria di aver ripulito una strada. Poco importa, poi, se un essere umano morirà congelato.
A Trieste fa freddo, sapete?
E faceva freddo anche a Candela, qualche notte fa, in un sub-appennino innevato che non sa bene cosa farci, con questa leggerezza bianca che scende dal cielo, perché in realtà non è montagna – mica esistono le montagne, in Puglia – ma non è neanche il mare caldo e accogliente delle spiagge estive; però c’era così tanta solidarietà che non lo si sentiva, il freddo, non si sentiva la bufera di neve. Sembrava di essere in un altro mondo, forse di essere finiti al di là dello specchio di Alice e di trovarsi al cospetto di un tombolaio matto che, nonostante i riferimenti culturali di dubbio valore morale, alla fine ha dimostrato che se vogliamo possiamo essere umani tutti. Basta poco.
Quest’anno l’ultima fetta di panettone non aveva il solito sapore, e neanche l’ultimo biscotto al burro. Adesso quelli che sono avanzati sono rimasti lì e non so a chi darli per liberarmi dalla tentazione, perché io non ho più una famiglia.
Il sette gennaio suona come un blues malinconico. Eppure la luce di gennaio è diversa, ce ne siamo accorti ieri: ha una scintilla premonitrice di quello che sarà, dell’estate che deve arrivare, prima o poi, a bordo dell’aereo immaginario costruito sulla cuccia di Snoopy su cui saliremo usando, come carta d’imbarco, un biglietto per i Cure.
Chiudiamo gli occhi e non facciamo rumore. Non ci sono preoccupazioni, qui intorno. Basta crederci. Basta credere di essere in volo, e non sul tetto di un monolocale di legno per animali.

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Sette gennaio di Manlio Ranieri è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.
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