Paesaggi dell’anima. La fotografia di Sofia Uslenghi
Votre âme est un paysage choisi
Que vont charmant masques et bergamasques
Jouant du luth et dansant et quasi
Tristes sous leurs déguisements fantasques.
Tout en chantant sur le mode mineur
L’amour vainqueur et la vie opportune
Ils n’ont pas l’air de croire à leur bonheur
Et leur chanson se mêle au clair de lune,
Au calme clair de lune triste et beau,
Qui fait rêver les oiseaux dans les arbres
Et sangloter d’extase les jets d’eau,
Les grands jets d’eau sveltes parmi les marbres.
Paul Verlaine, Clair de Lune
Paesaggio e memoria sono fratelli. Parafrasando l’antica teogonia che intendeva il Sonno e la Morte generati dalle stesse Entità, così mi piace intendere paesaggio e memoria: generati dalla stessa idea di appartenenza, diversa per ognuno di noi ma genuina nella sua essenza. I nostri padri costituenti ne erano consapevoli e fissarono quest’idea in un articolo, il nono della nostra Costituzione, che tutela il paesaggio e il patrimonio, che è una forma altissima di memoria: ma oggi? Quali sono i nostri paesaggi e la nostra memoria? Nella pantagruelica confusione di sintetiche forme (e formule) visive cui ci andiamo abituando, bulimici, la vista e il riconoscimento di un paesaggio assumono il sapore di una benedizione. Nel quotidiano, il desiderio di bellezza, cui antropologicamente non possiamo sottrarci, rimane confinato per lo più allo spazio degli schermi sui quali ci affacciamo, mutando il sentimento in scialba abitudine. Nella rete delle infinite possibilità il lessico delle nostre ricerche si è fatto ridondante, perdendo il suo senso per diventare convenzione.
Molti pensatori si sono dedicati al tema del paesaggio. In particolare Georg Simmel, nei primi anni del Novecento, introdusse nella sua riflessione il concetto di Stimmung: parola «intraducibile» che identifica una tonalità spirituale, uno stato d’animo, un sentimento o atmosfera (Monica Sassatelli in Saggi sul paesaggio, Roma 2006, p. 64, nota 1), che egli provò così a spiegare: “Quando amiamo qualcuno, crediamo di possedere già la sua immagine compiuta, cui poi s’indirizza il sentimento. In realtà, la persona amata non viene mai vista obiettivamente; la sua immagine nasce insieme all’amore, e proprio chi ama non saprebbe dire se il trasformarsi dell’immagine abbia provocato l’amore, o l’amore abbia provocato questa trasformazione. È come quando ricreiamo in noi il sentimento che si trova in una poesia lirica. Se questa sensazione non fosse immediatamente presente nelle parole che recepiamo, esse non rappresenterebbero una poesia, ma una banale comunicazione – e, d’altra parte, se non le recepissimo interiormente come una poesia, non potremmo far rivivere quel sentimento dentro di noi” (qui nella traduzione proposta in Georg Simmel, Saggi sul paesaggio, Armando Editore).
Paul Verlaine e Georg Simmel sono voci sensibili a cui mi sono rivolto per provare a raccontarvi l’arte di Sofia Uslenghi. Proprio come nei versi del poeta francese, le sue immagini sono paesaggi dell’anima; lievi e tremuli come miraggi dai quali è difficile distogliere lo sguardo. La sua stimmung è fisica: memoria genetica che si fa movimento e riflesso della mente.
Nello sconfinamento dai luoghi, e dal nostro io, si esprime l’arte di Sofia.
Isolata sirena nel mare di Ulisse, ammalia con l’incantesimo lo sguardo che si posa sulle creazioni. C’è, tuttavia, un aspetto peculiare che conferisce vera sostanza alla bellezza delle immagini da lei create: Sofia crea per se stessa, non per fascinare, alla ricerca del suo paesaggio interiore fatto di luoghi e legami che appartengono a un passato dal quale non vuole allontanarsi. Ecco così che la sirena diviene Ulisse, la sua arte si fa viaggio e memoria. E dispiegando la sua memoria ricostruisce la sua identità (Matteo Nucci, Le lacrime degli eroi, Einaudi; Umberto Galimberti, Paesaggi dell’anima, Oscar Mondadori ), in una forma d’essere ubiqua.
Sofia, nata a Reggio Calabria, nei suoi progetti fotografici (Maps, My grandmother and I, Homesick) torna nelle terre della sua famiglia, naviga lo Stretto per catturarne l’essenza; cerca di ri-possedere le sue terre d’origine scrutandole dall’alto con occhio demiurgo per coglierne profili e sfumature da cucirsi addosso, per creare una forma nuova nella quale potersi ri-trovare e ri-conoscersi.
Sono bellezza, queste immagini, nelle quali il paesaggio fisico, geografico, diventa paesaggio dell’anima, incarnato nella forma del corpo e negli struggenti occhi di Sofia, nei quali ci si perde, come ci si perderebbe in un deserto senza confini, inseguendo una forma possibile di bellezza, camuffata dal miraggio di se stessi.
Votre âme est un paysage choisi
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