Magro, un viluppo di morbidi ricci scuri sulla testa, una faccia di quelle belle belle, lattea e lucente come una Supergigante. Circondate dalle siepi ciliari si scorgono due isole nere da cui spia il mondo. Possiede la giovinezza tatuata di fresco, a tutto corpo e a tutta anima.
Lo hanno beccato senza biglietto subito, prima del primo centimetro di tragitto.
Il fumo che si leva da quelle sue isole nere, disegna uno sconforto a cui la timidezza non lascia parola.

Mi scioglie dalla tenerezza. Non ha l’aria di uno che abitualmente se ne va in giro a scroccare passaggi al pubblico trasporto.
《Mannaggia》, dice il mio dispiacere a voce alta.
Lui annuisce, sentendomi, e i ricci gli rimbalzano tutti come a dirmi di sì anch’essi.

Il controllore, che fino ad ora ha tenuto il capo immerso nel verbale, stacca dal blocco la  notifica di multa e sottovoce, senza infierire, chiede al ragazzo di scendere. Poi si gira e punta il suo sguardo acquoso su di me.
Minuto nel corpo, ha capelli ricci brizzolati, pelle olivastra, due occhi verde mare e il viso decorato di innumerevoli graffiti lasciati lì dalla vita già vissuta.
Mi dice del dolore per gli insulti, della frustrazione per le polemiche, dello spavento per le minacce. Mi dice della stanchezza del tener la veste da orco sulla pelle morbida di coniglio.
《Già…》, dice la mia compassione col sorriso più premuroso che può.
Continua a raccontarsi fino alla penultima fermata, dove scende frettolosamente scusandosi per la confessione.
《Ma no…》gli rispondo, senza riuscire ad aggiungere altro.

Penso alle isole nere e alle acque verdi, a come siano uno e non due. Un solo luogo con una medesima sorte: sotto lo stesso cielo piovente ognuno si trova bagnato dal proprio castigo.
Roberta Zambetta

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