Un moderato delirio: sopravvivere a Bari
UN MODERATO DELIRIO – di R. NICASSIO – WIP Edizioni
Come trascorrono le giornate e, soprattutto, le serate i gggiovani (con tre “g”) a Bari?
A raccontarcelo è proprio un gggiovane (sempre con tre “g”) di nome Renato Nicassio. Ecco: segnatevi questo nome, se vi capita cercate di chiedergli l’amicizia su facebook oggi, magari anche di strappargli un autografo sulla vostra copia di “Un moderato delirio (Sopravvivere a Bari)”.
Sì, perché questo breve libro, a mio modesto parere, è destinato a diventare il caso letterario barese del 2013, e da qui a un anno il ragazzo andrà in giro con la scorta per la fama che avrà raggiunto; o, forse, anche per la quantità di gente che desidererà linciarlo. Cerco di spiegarvi il perché: “Un moderato delirio” ha tutti i connotati per diventare un prodotto degno del marchio di baresità D.O.C., ma lo fa senza mai ammiccare né alla simpatica faciloneria di Checco Zalone né ai luoghi comuni di Gianrico Carofiglio.
Per chi non lo sapesse già, Renato Nicassio è autore di un blog (http://ilblogstruggentediunformidabilegenio.wordpress.com/) di grandissimo successo, nato come esperimento e arrivato, in un paio di mesi, a varcare prima i confini cittadini e poi quelli nazionali: mi sono ritrovato, inaspettatamente, i post condivisi in home page, su Facebook, da gente che vive a Londra o addirittura oltreoceano.
Il suo esordio letterario, naturalmente, segue lo stile del blog: si tratta di un libro che si basa sull’idea di raccontare una serata trascorsa a Bari, a partire dalla ricerca del parcheggio in centro per finire al più classico dei cornetti in chiusura, con sorpresa finale a seguire. Il tutto viene raccontato con una leggerezza e un’arguta comicità, che – lungi dall’essere banale e volgare – arriva a tirare in ballo persino Baudelaire, Marx, il Vangelo, Bob Dylan e la mitologia greca.
Eppure in questa irresistibile girandola di trovate esilaranti, che non smetterà mai di sorprendervi, c’è un sottofondo che, pagina dopo pagina, imparerete a identificare con un sapore inequivocabilmente amaro.
Sì, perché Renato Nicassio appartiene a una generazione che, volente o nolente, ha imparato che la vita non ha alcuna intenzione di dargli niente senza prima chiedere il pagamento anticipato di un conto salato. Lo si ritrova, in maniera struggente, soprattutto negli ultimi capitoli (in particolare “Abituarsi alla fine: il cornetto del ritorno”) dove la leggerezza delle prime pagine lascia spazio a un’amara autoironia che non fa presagire alcuna speranza per il futuro. E anche quando, nell’episodio conclusivo, il protagonista si appresta a tornare a casa, dopo mille peripezie, all’alba di un giorno qualsiasi, anche quando il sole nascente sembra quasi fargli presagire qualcosa di buono, quasi subito l’ottimismo si fa da parte a favore di una considerazione maledettamente pessimistica: “Un raggio si smarca dai palazzi che fiancheggiano il viale e penetra nell’abitacolo. E fa sì che io mi accorga. Che io capisca. Domani non è affatto lontano. Domani è già arrivato.
E io non so che cosa fare.”
Bene, adesso che vi ho svelato il finale rovinandovi la festa, ho da fare la mia considerazione: chiunque abbia trascorso la propria giovinezza a Bari negli ultimi 25 anni non farà alcuna fatica a ritrovare gran parte delle sue serate nelle pagine di questo libro; sia io, che ho tredici anni in più dell’autore, sia un suo coetaneo, sia un liceale. Allora mi sono chiesto: cosa è successo di così grave in quest’ultima quindicina d’anni? Già, perché la mia è stata forse l’ultima generazione che è riuscita in qualche modo a strappare qualcosa a questo paese, una sorta di futuro. Certo: non avremo mai una pensione. Certo: volendo comprarci una casa dobbiamo rinunciare ai viaggi e a un paio di uscite serali settimanali. Certo: non possiamo permetterci di pensare ad avere un figlio prima dei quaranta. Però quasi tutti – chi più, chi meno – siamo riusciti a sistemarci, a trovare uno straccio di lavoro. Molti si sono persino creati una specie di famiglia. In “Un moderato delirio”, al contrario, non si riesce a intravedere orizzonti futuri che siano diversi dalla sopravvivenza, come recita lo stesso sottotitolo. Splendida, in tal senso, la presa di coscienza presente nel capitolo dedicato alla “Rimpatriata di classe”.
Ma questo libro non è solo pessimismo, anzi: le venature negative sono mascherate benissimo in mezzo a momenti di ilarità cristallina. Personalmente ho adorato “il compromesso al ribasso: la musica in auto”, in quanto mi ci sono ritrovato a piene mani, con la mia chiavetta USB piena di musica “accessibile a tutti” e i miei cd colmi di canzoni ostiche, ruvide, dissonanti, che non ho il coraggio di propinare agli altri passeggeri.
Ma c’è anche il capitolo dedicato all’indimenticabile panzerotto di “Di Cosimo” e alle tecniche per mangiarlo ed uscirne indenni, o gli irresistibili criteri di scelta del posto dove andare, che partono inevitabilmente dalla cronica situazione di mancanza di quattrini tipica del giovane studente o disoccupato. Infine c’è la scena, carica di un’involontaria dolcezza, dell’abbraccio fra sconosciuti all’uscita dal “Demetra”.
Insomma: “Un moderato delirio” è un libro in cui c’è tutta Bari, nel bene e nel male, racchiusa in 94 pagine che vorresti non finissero mai.
Ma che finiscono, come la serata del protagonista.
Ed è già domani.
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