La pioggia batte sulle impalcature che chiudono il cielo e la luce artificiale rischiara fiaccamente l’aria alle sue spalle.
Posta elettronica, calendario. Video riunione alle 9:00 e alle 10:30, in parziale sovrapposizione con la video conferenza delle 11:00. Partecipa con Google Meet.
Resta in attesa, l’organizzatore la farà entrare e anche presentare. Se vuole. Può cambiare account, se vuole. Può cambiare sfondo. Per essere qualcun altro, forse. Essere altrove. Guarda lo schermo. Sceglie l’immagine.
Acqua, fiori, mare, una spiaggia, una terrazza. Un’isola greca. Una taverna affacciata sulle onde. Un cameriere uguale a Socrate che offre Retsina. La caraffa trasuda gocce di freschezza e c’è la brezza. Il sorriso antico gli apre la bocca, scopre i denti neri e schiaccia le rughe salate. Lei per qualche istante è lì. Si specchia nel monitor, lo sfondo virtuale. I contorni sfocati fanno un vento immobile, arrivano voci dal fondo del mare.
L’organizzatore la fa entrare. Lei si presenta e la voce le si spegne dentro. Ci sono altri volti e poi scompaiono, la chiamano. La brezza. Le onde. I fiori. Un dolore sordo dietro l’orecchio e un fischio. Calore. Sapore di ferro.
– Cosa succede?
– Tutto bene?
– È caduta
– Forse svenuta
Il mare è immobile, Socrate è andato via.
– È sola in casa? Chi possiamo chiamare?
Le voci si avvicinano e si allontanano nel buio. Le onde del mare la cullano e il respiro del suo cane le si avvicina. Le lecca il viso, le guaisce accanto e l’accompagna nel sonno.
Uno scritto di Simona Soci 
dal corso riSTORYanti 

 

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