Diario di quarantena, con una forte voglia di tornare ad incontrarsi, a godere l'arte, la natura e l'estate

Oggi è un giorno di maestrale, come certi giorni di fine agosto, con l’aria limpida e profumata di salsedine; quei giorni in cui scendi in spiaggia pigro e ci trovi poca gente, tutta ammassata a ridosso delle dune, perché le onde arrivano a mangiarsi buona parte della costa, e non sai se andarti a fare il bagno o no. C’è qualcosa di molto simbolico nel fatto che io riesca a respirare un’aria di fine estate oggi, all’inizio di maggio, ossia il periodo in cui l’estate iniziava, ogni anno. C’era la festa di San Nicola, le prime maniche corte, i primi gelati. C’era la gente in strada, maledettamente ammassata, che certe volte ti innervosivi perché non riuscivi neanche a passare, e invece oggi li vorrei tutti là, quanto cazzo mi piacerebbe vederli concentrati in densità che sfidano le leggi della fisica.
Mi mancano le persone. Mi mancano gli amici di sempre, che vedevo spesso, quelli che vedevo solo d’estate, quelli di tante estati fa, che venivano in Puglia da città lontane e adesso sono là, rinchiusi negli invalicabili confini regionali. Mi mancano gli amici di Colori Vivaci – tutti i nostri mille eventi magici – i gestori dei locali dove mi sentivo a casa, la mia band, i compagni di squadra e gli amici che vedevo ad ogni concerto, sempre lì, sempre gli stessi. Li immagino ciascuno sotto un palco diverso, da soli, a chiedersi dove cazzo sono finiti tutti, come la gif di John Travolta.
Stanotte ho sognato di un luogo e di altre persone, amici d’infanzia che non vedo da un sacco. Negli ultimi dieci anni li avrò visti sì e no tre o quattro volte, però mi mancano pure loro. Perché la verità è che mi mancano le persone. Incontrarsi per caso ed esserne felici.
E mi mancano i luoghi, anche. Perché sì, io dalla finestra ho la fortuna di una vista meravigliosa, ma ormai è diventata come fosse una cartolina. Statica. Lontana. Mi manca quel luogo che ho sognato stanotte, ad esempio, e le persone con cui ci sono stato, tanti anni fa, alcune delle quali neanche esistono più, portate via da malattie che esistevano da prima del Covid-19 e per le quali, forse, non ci sarà mai un vaccino. Mi mancano gli altri luoghi che ho sentito miei per un po’, come quella Taranto, e la sua costa, che ho visto in un documentario l’altra sera, o certi posti sperduti fra le montagne, che forse neanche sanno davvero cos’è questo virus perché non c’è neanche un bar o un negozio di abbigliamento, e chi cazzo deve andarci, a portare il contagio da quelle parti. Mi mancano i luoghi che avrei voluto visitare e non ho potuto per via della stasi mondiale e anche tutti quelli che non visiterò mai, ma era bello sapere che avrei potuto.
Per questo, sì, d’accordo #iorestoacasa era un concetto bello, nobile, forse lo è ancora. Però basta. Non ne posso più di ripetere questo mantra per farmi forza, mi viene il magone. Ho bisogno di pensare che torneremo a vederci, a viaggiare, ad abbracciarci, ad ammassarci in eventi splendidamente affollati, a sputacchiarci in faccia mentre cantiamo a squarcia gola le canzoni nei concerti. E però, se ci penso mi viene lo stesso il magone, perché chissà quando succederà.
Ma dev’essere così.
Torneremo a scorrere, come cantano gli Afterhours, ed è diventato il mio mantra di questo periodo. In quel documentario su Taranto gliel’ho sentito cantare sulle immagini dei delfini che scorrazzavano liberi nel golfo.
Torneremo a scorrere. è l’unico hashtag che voglio sentire. Metteteci pure il tempo futuro, cosicché i più sprovveduti non pensino di poter uscire a fare scorribande già da oggi, ma ditelo, cazzo. Urlatelo.
Cantatelo.

Testo e fotografia di Manlio Ranieri

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