In questo scritto di fine corso i corsisti dovevano produrre uno scritto libero, cercando di mettere a frutto i contenuti imparati in sei settimane, con le uniche indicazioni di inserire qualcosa di rosso e di non narrare di se stessi. Cinzia è stata ancora una volta eccellente nelle sue pennellate decise. Una tecnica che padroneggia e che ormai la contraddistingue. In un pezzo come questo lei è capace di farci innamorare di tre antieroi assolutamente autentici, e nella scena finale di Robertino commuovere con un sincerissimo moto dell’animo.

Certe sere la vita di Giulio diventava pesante. Gli si aggrappava alle gambe, piombo e zavorra, e rendeva le tre rampe di scale fino all’uscio di casa un ripido percorso dissestato. Anche il corrimano ci metteva del suo: si faceva elastico, scivoloso; trovava tutti i modi per sottrarsi alla presa della sua mano. E quella stronza della serratura: era sempre stata lì; ora all’improvviso era più su, più giù, la toppa era troppo piccola e la chiave storta, spezzata, stor… Basta! Anche tornare a casa era una lotta. Dopo le sirene, gli allarmi, il megafono, il telefono, le consegne, elmetto, tuta, guanti, e giri, tanti, al Banco dell’Aurora fino alla chiusura: “A casa, Giuliè! E’ ora!”.

Lui di lottare era stanco. A volte si arrendeva e toccava a sua moglie recuperare l’eroe tornato in patria e naufragato sul sorriso home-sweet-home dello zerbino. Lei soffocava le solite lacrime silenziose tra le folate di J&B che l’eroe biascicava insieme a incomprensibili gorgheggi. Lui cercava il divano in cucina come l’approdo sicuro dopo aver affrontato mari in tempesta ed eserciti di nemici.
Robertino li guardava e a sei anni non capiva perchè il suo papà cercasse il divano in cucina e come mai questo facesse soffrire la mamma: lei non lo sapeva, ma lui l’aveva vista che piangeva e ogni volta aveva rispettato il suo segreto. Una notte decise che non poteva più starsene a guardare. Sua madre era nel lettone mezzo vuoto, quella volta non piangeva.
– Cos’è successo a papà?

– Niente, amore. Papà ha mal di testa. Tu torna a dormire.
– Buonanotte, mamma.
Bene, ora poteva occuparsi di lui. Col cuore che gli batteva forte sotto la maglietta del pigiamino rosso, affrontò il buio del corridoio facendosi strada fino al divano col braccino incerto. Suo padre era lì, ancora vestito, riverso tra i cuscini logori. Si avvicinò al suo viso stropicciato:
– Papà, la vuoi un’aspirina?

Uno scritto di Cinzia Suglia, con una foto scattata da lei stessa in Scozia, all’interno del corso di scrittura on line Chiaroscuro Vivace, tenuto da Antonella Petrera per Colori Vivaci Magazine.

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