In evidenza: Stephen Shore. Chicago, Illinois, July 1972.

Normalità e patologia sono strettamente intrecciate ed è difficile spesso, anche per chi si occupa della tassonomia dei disturbi psichici stabilire un netto confine tra ciò che è sano e ciò che è malato. Walter Benjamin, nelle sue riflessioni sulla città moderna, metteva in luce  il potere nevrotizzante della molteplicità di stimoli a cui è sottoposto il suo abitante, nevrosi che certamente, non rientra analiticamente nel concetto di sanità mentale; definizione freudiana, afferente a quella psicopatologia della vita quotidiana (tic nervosi, lapsus, idee ossessive), indica uno stato psicologico in cui il soggetto è in grado di vivere normalmente avendo come zavorra le sue nevrosi peculiari. La psicosi vera e propria (ad esempio la schizofrenia) indica un distacco dal senso di realtà, perdita di contatti con il mondo reale, per lasciare spazio alle proiezioni e alle idealizzazioni psicotiche, non normali. Oltre le classificazioni classiche che riguardano la psicologia o la psichiatria, quello che mi interessa è la visione filosofica del disagio psichico e le possibili cause, non tanto organiche quanto culturali. In genere la normalità è associata alla capacità di intendere e di volere del soggetto, che a sua volta è strettamente legata al mondo materiale. Spesso, in molti processi penali, l’imputato viene assolto perché infermo o semi-infermo, quindi non era lui ad agire mentre avveniva un reato, bensì un altro. Con questa attenuante si riesce a scagionare il soggetto incriminato. La patologia quindi è legata all’identità. Ciò che io sono viene alterato dallo stato di malattia. Normale è spesso sinonimo di efficiente. Questo è il primo punto riguardo all’essenza culturale della normalità. Sicuramente non c’era ragione di ipotizzare l’efficienza in un mondo pre-industriale; nel momento in cui l’uomo diventa macchina funzionale all’organismo generale della produzione, allora normalità ed efficienza si uniscono in un sinolo in sé indistinguibile nelle sue parti costitutive. Chi non sa fare niente o chi non è in grado di fare niente non serve, quindi non è normale. Il non saper contribuire al mondo industriale-moderno-produttivo è ragione di esclusione sociale e di inclusione nel mondo degli anormali. L’inettitudine è motivo di discriminazione. Nasce l’obbligo di vivere fuori il proprio domicilio e restare casa significa non aver nulla da fare. Nella seconda metà dell’ottocento il concetto di normalità è equipollente a quello di “inserito socialmente”. Sono categorie che ancora oggi utilizziamo, oltre a le componenti biologiche che non dipendono certo da fattori esterni; parlo di problemi organici del cervello o degli apparati cognitivi che non dipendono dallo sviluppo della psiche. Nei centri di riabilitazione psichica, necessariamente il paziente deve svolgere un’occupazione, per spendere bene il tempo dentro e poi fuori. In un tipo di società organizzato diversamente quest ansia di occupazione e di affermazione sociale, sarebbe molto attenuate. La filosofia dello stato patologico è proprio questo interrogativo. Lo sviluppo del processo industriale, che a sua volta influenza le corporazioni universitarie e il sapere ad alti livelli, crea la figura dello specialista e competenze sempre più specifiche per saper fare bene qualcosa. In una struttura del genere lo iato tra il gruppo dominante (a questo riguardo vedi un mio precedente articolo, amicizia e competizione) e chi vive ancora in un mondo pre-industriale diviene enorme. La necessità di formarsi e di avere una cultura avanzata fa dei malati psichici degli obsoleti. I ritmi della vita moderna, velocità, efficienza, pragmatismo, senso dell’obiettivo (tutta la cultura occidentale) aumentano lo iato tra il normale e il patologico: il malato è lento, inefficiente, non ha senso di realtà, intralcia la produzione ed infetta i sani. Paradossalmente quel mondo così sano e normale causa disturbo e patologia a chi normale lo è davvero. Si è studiato che la povertà e l’indigenza siano causa di schizofrenia. Oppure, tornando a Walter Benjamin, i rumori della società moderna creano stato di alterazione psichica, agitazione, nevrosi.  Chi è affetto da problemi psicologici o psichiatrici non serve, deve essere confinato e nascosto in posti specifici: le cliniche o i centri di riabilitazione. Il mondo moderno, quello sano ed efficiente, non può essere contaminato da questi agenti virali pericolosi. Se al centro dell’ideologia contemporanea non ci fosse il profitto e l’ansia da prestazione economica, cambierebbe l’idea di malattia psichica e forse, sarebbe connotato in maniera diversa. In maniera più attenuata  e meno cinica. Chi sa fare molte cose o è bravo nella sua professione non necessariamente è normale o meglio di chi, spesso non per causa sua, è più lento o ci mette più tempo ad apprendere. Saper fare molte cose ed essere efficiente spesso può essere sinonimo di anormalità. Se per normale intendo l’anima inviolata, ovvero la concezione vergine delle percezioni fuori e dentro la nostra coscienza, la superficialità e la velocità con la quale queste idee vengono organizzate può essere sinonimo di animo alterato e patologico. Se lo stile è l’uomo allora fare tutto velocemente senza riflettere (su questo vedi un mio precedente articolo, dialettica della stupidità) può essere sintomo patologico. La società moderna ha alterato il normale modo di percepire noi stessi e il mondo esterno, è l’anima inviolata è quella pre-industriale: l’anima agreste, a contatto con la sua madre autentica, la natura. Il nostro apparato conoscitivo agisce mediante sistemi di idee strettamente collegati all’efficienza al progresso, ma questi ultimi non sono naturali, non sono normali.

Gli effetti culturali della società funzionale sono svariati e spesso confluiscono nel mare magnum del disagio psichico, soprattutto giovanile. Un adulto sa stabilire una distanza sana tra gli stimoli negativi e l’affermazione della propria particolare personalità. Un aspetto che secondo me non è stato mai indagato dagli psicologi – psichiatri è il legame culturale tra disagio psichico e stimoli della società moderna e del consumo. Il disturbo bipolare ad esempio, (come quello borderline della personalità) ha componenti sia biologiche (quindi a priori rispetti alle manifestazioni psichiche deviate) sia sociali-culturali; i fattori psicologici a loro volta dipendono da predisposizione genetica, educazione genitoriale, fattori esterni. Il disturbo bipolare, oltre a dipendere da una disfunzionalità neuronale, in base al quale il segnale nervoso subisce un vero e proprio corto circuito, ha componenti sociali-educative. Il passare da stati di esaltazione a stati di disperazione è un movimento bi-polare, ovvero tra due poli opposti. Alla base del disturbo bipolare c’è un taedium vitae, che dipende da un nichilismo radicato nel soggetto (questo dovuto all’educazione genitoriale e alla sua facilità all’esaudire i desideri del bambino) che si muove tra una ipervalutazione (come per i borderline) e una completa svalutazione dell’oggetto di piacere. La causa culturale (oltre a quelle del cervello) è la stessa struttura del mondo moderno (materialismo e idee spirituali, struttura e sovrastruttura) che influenza l’educazione genitoriale. Questo movimento tra due poli, proposto dalla società moderna, crea nei soggetti più deboli e malleabili (adolescenti soprattutto) una struttura psichica adeguata alle strutture del mondo civilizzato. Come nel mondo esterno si danno situazioni di prosaico materialismo e di idealismo estremo (come l’arte, la musica classica, le idee politiche) così la mente malleabile del bi-polare rispetta automaticamente e senza senso critico queste categorie.

Giovanni Sacchitelli

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