C’era una luce che esplodeva in migliaia di macchie, scomposte dalle chiome degli alberi, sopra quella panca di legno dove la capra campa. Solo che lì non c’era una capra, c’eri tu, ed eri luminosa come il bianco della vernice. Eravamo blu come il mare che scintillava poco lontano.

Adesso c’è un orecchio che si protende per ascoltare e poi – a mezzanotte, scendendo dalla carrozza prima che si trasformi in un gadget di Halloween – ci scappa su un bacio abboccato come un vino che ha invecchiato per tre anni nel rovere antico: così tanto atteso da far tremare la terra. L’inverno imminente è bordeaux come il Nero di Troia, come quella schiena perfetta sulla quale mi piaceva passare due dita per sentirla vibrare a guisa delle corde di un violino. Chissà se col freddo tornerai ad aver bisogno di un po’ di quel calore che si alimenta di un semplice movimento di mani, senza bisogno di legna né di gas. Per il momento mi accontento di essere di nuovo nella tua rubrica, di essere di nuovo nelle canzoni che ci possono portare a Brindisi o a Roma, come se fossero la stessa cosa, come se il mondo si rannicchiasse a bozzolo e la Puglia si toccasse con il Lazio, la Toscana, l’Emilia Romagna e, perché no, magari anche una qualsiasi capitale europea, di quelle con la metropolitana, che ci si scende precipitandosi giù a passi rapidi per i gradini di marmo – meglio delle scale mobili, ché non sai mai cosa ci succede veramente – e ridendo. Perché ha bisogno di dolcezza, il mondo: non di odio, rancori e divisioni.

Come me, del resto: e tanta.

Testo e fotografia di Manlio Ranieri

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