C’è un piede che striscia a terra.
E batte.
Batte.
Batte.
Non è il piede.
E’ la persiana che Pierre ha dimenticato di bloccare dall’esterno. Non mi alzo per farlo io. Mi piace il ritmo del mio piede e della persiana. Aspetto il colpo e poi striscio. Faccio una gara. Conto i secondi che passano fra un ritmo e l’altro. Se rimangono sempre a sette vinco io.
Naturalmente perdo.
E’ sempre stata questa mania di contare le lettere, i nomi di persone o cose che un giorno mi fece risvegliare in una casa che non era la mia. Mi ritrovai addosso un pigiama blue che non era il mio. Polsi e caviglie che non erano più miei. Non m’importava. Del resto non ho mai avuto chiaro il concetto del “possesso”. Quello che avevo mi bastava e lo sprecavo tutto.
Ma forse questo non andava bene a qualcuno.
Ecco perché mi trovavo in quella stanza che diventò la mia casa. Un letto con sbarre d’acciaio. Un termosifone in ghisa. Una finestra con solo un’anta di persiana. L’altra era volata giù. Forse ero stata io o Pierre. Non lo ricordo. Ma Pierre dimentica sempre di bloccarla quella maledetta!
Un foglio attaccato alla sbarra ai piedi del letto. Paziente: E.S.A.- Diagnosi: X-X-X.
Non la ricordo.
Quello che c’era scritto
Non era vero.
Non era vero.
Non era vero.
O forse non era importante per me. Forse.
Le sbarre erano otto ai piedi e alla testa. Dodici quelle laterali. Poi non riuscivo a contarle quando mani e piedi venivano legati da fascette di cuoio. Dicevano che servivano per non farmi male quando ero in preda alle crisi epilettiche. Mia nonna gridava a mia madre che ero “Figlia del Diavolo”. Forse perché un padre non l’ho mai avuto. Però ho avuto il suo seme conficcato cruentemente nella vagina di mia madre in una notte di violenza. Sarà stato per questo che avevo tutte quelle scosse ed ero stata esiliata lì.
O per la mia mania di contare.
O per la persiana che sbatteva.
O per i rivoli di sangue di Pierre sul legno sverniciato.
Le fasce di cuoio diventarono testimoni di penetrazioni che si perpetravano per ventotto giorni di seguito. Poi arrivava il ciclo a salvarmi.
Ma presto arrivarono altre scosse. Erano quelle dell’Elettricista. Quello che mi infilava una gommetta tra i denti e due tappi alle tempie. Partivo come un frullatore impazzito. Imparai pian piano a non svenire più e a trattenere la pipì. Facevo degli esercizi di forza per mantenermi lucida e ricordare.
E contare anche.
“Soggetto Pericoloso: S.P.” Così mi fu data la grazia dell’isolamento nella camera n. 24-Padiglione 06-40.
La stanza era tutta mia: sei passi in lunghezza, undici in larghezza.
Sui muri scrivevo i miei numeri, i miei lamenti, i miei viaggi.
Ci sono tornata dopo ventiquattro anni.
L’Istituto era diventato un relais di lusso dopo la Legge Basaglia del 13 maggio 1978.
Scelsi io quell’hotel per il nostro viaggio di nozze.
Volli fortemente la camera n. 24. Era tutto cambiato. Ma se toccavo le pareti intonacate, potevo ancora sentire le mie lettere incise. Su una frase il mio sguardo s’incantò. Entrò mio marito: si rabbuiò in volto.
“Amore che hai? Tutto bene?”
“Sbatte. Sbatte. Sbatte. Chiudi quella maledetta persiana, PIERRE!!!!”
Il piede striscia. La persiana sbatte. Sette secondi.
Il piede striscia. La persiana sbatte. Sette secondi.
Il piede striscia. La persiana sbatte. Sette secondi.
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