L’acaro. Si. Il dottore m’ha detto che se ti capita di non dormire nel tuo letto per, diciamo, nove mesi come è successo a me, poi quello può diventare la culla di un insettino minuscolo che la notte, solo la notte, si sveglia e zac. Ti morde e poi ti punge e dove passa lascia tracce rosse. Come il naso che poi, diavolo, ti prude e si tappa ed è inutile che fai le facce buffe e lo arricci e lo porti su e giù con la mano chiusa a pugno. Lui sta lì, a ricordarti che sei grande e grosso eppure fragile fragilissimo di fronte ad un insettino minuscolo che la notte, solo la notte, si sveglia e zac. Il fastidio di avere un corpo da grattare ma con delicatezza altrimenti poi ti fai male.

 A questo stavo pensando quel giorno mentre ero seduta sulla spiaggia con la Lucy.  Eravamo andate a Torre Lapillo solo per un caffè e lei portava gli occhiali da sole: la Lucy non porta mai gli occhiali da sole, dice che le stanno antipatici, che falsano i colori e la confondono.

–          Fa caldo oggi, vero? M’ha detto mentre s’attorcigliava l’orlo dei pantaloni e si sfilava piano i sandali dai piedi. I suoi piedi che vorrei essere un giorno, uno soltanto, per sentire il peso del suo corpo sul mio, per vedere cosa si prova a stare al servizio del suo desiderio di andare. Fare da tramite tra la terra e il resto delle sue membra, posizionarmi e creare un baricentro in cui lei vive e gira leggera come la protagonista di un film muto. E poi cercare indifferente l’erba fresca del mattino, capitarci sopra di sorpresa per sentirle scorrere all’insù quel piacere che è fatto di rugiada e spine. Salire salire attraversarle la labbra e poi su. Bottone dopo bottone la camicetta di seta coi fiorellini celesti, quella arricciata coi due nastri che partono proprio da lì, dal punto in cui i suoi seni si incontrano e formano una V in cui sprofondo ubriaca di zucchero filato e fiori di cannella. Implodo tra il bene e il male, io, tra la notte e il giorno e le profezie delle sibille pagane, come fosse una tazza di latte caldo e miele d’acacia.

Che bella la Lucy, quando ti guarda coi suoi occhi morbidi e poi ti mostra i due nei che ha sulle ginocchia. Uno a destra e uno a sinistra. E poi ti racconta di quando da piccola era convinta che ce li avessimo tutti: due occhi, due orecchie, due mani, due piedi. Due nei. Un mondo bambino e pulito, di cui scorgo la schiena e che adesso sta lì sulla riva di un mare che è un universo vivo di correnti e pesci e tesori. Eppure io son sicura che lei lo sa come fanno i paguri a riconoscersi tra di loro, come fanno le gocce d’acqua ad incontrarsi e diventare spuma di mare che prima ti accarezza lieve e poi cresce cresce fino a travolgerti e risucchiarti nel suo moto. Se non vuoi affogare devi seguirla, devi entrarci dentro e stare. Senza opporre nessuna resistenza. Come se fosse una madre che ti culla e che sa esattamente tutto l’indispensabile di cui hai bisogno.

–          Non vieni a fare il bagno? Si gira a guardarmi e mi tende la mano destra, la Lucy, come se fosse la cosa più naturale del mondo disegnare la luce coi polpastrelli affusolati delle rose. Togliersi di dosso la stoffa di cui son fatte le nostre giornate e immergersi. Ognuno con la propria pelle e le proprie mani. Nel blu di quello che desideriamo e che non sappiamo dire. Nemmeno.

Cristina Carlà

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