La gente è fatta di smartphone e spioncini. Hanno tutti delle belle scarpe che si somigliano e una strana fretta di arrivare.

Chissà dove- mi chiedo- pensando alla simmetria disturbante dei parcheggi a spina di pesce.

Qualche volta seguo i passanti, specie se hanno un cane e specie se il cane è un barboncino. Mi fa troppo ridere la coda dei barboncini. L’altro ieri ho capito perché la signora del terzo piano porta sempre una bottiglia d’acqua sottobraccio. E scoperto l’utilità del cellophane e delle borracce termiche. Mi piace vedere gli studenti alle poste con il sellino della bicicletta e lo zaino pieno di scritte. E anche le ragazze di vent’anni con la nonna.  Ci sono tante storie per le strade, alcune molto tristi. Se ti siedi sulla fontana di fronte alla stazione capita di ascoltarne qualcuna, anche se devi rispondere a domande che sembrano assurde.

No, non sono sposata e non ci penso ad avere dei figli.

Non ho potuto dare un cioccolatino alla vecchia zingara perché la scatola era incartata: avevo solo cinquanta centesimi. Ed è sempre un Dio ti benedica: non per gli spiccioli. Per il tempo. Lei con i capelli grigi e un bastone avvolto di scotch sa tutto molto meglio di me.

Anche a te , come dicessi : in fondo a destra.

Perché non c’è proprio nulla di divino. Le pare?- vorrei dirle, ma ha gli occhi così antichi da meritare un religioso silenzio di vicinanza. Siamo così uguali.  E le lascio il suo Dio, c’è un barboncino all’angolo.

Devo andare a rispondere ad altre domande.

Magari giù al porto.

Un giorno mi sono inginocchiata accanto a un uomo che smagliava le reti. A guardargli le mani. Sarà passata un’ora senza dire niente. Parlava già  il mare ai frangiflutti, sciabordando lento come un mulo stanco di pioggia e secoli, sotto l’aratro ciclico di lune e maree:  bisognava ascoltare quella poesia.  Non l’ho più incontrato, ma si sente lo stesso odore putrido di alghe e squame relitto, giù al porto.

Quella donna è sparita nel nulla e rullo una sigaretta pensando al rigor mortis. Una volta a casa, dopo la visiera con la mano e le scarpe slacciate, ritorna un piccolo vuoto. Doveva avere una storia anche lei. E penso chissà se ne sarebbe valsa la pena…ascoltare. Ma devo dirmi di no perché rimarrà una questione insolvibile. E potrei creare un poema epico da un solo emistichio: errore di gioventù immaginosa e masochista.  Non sono abituata a seguire chi sa il mio nome. Lo trovo stupido. Se tu conosci il mio nome puoi chiamarmi e chiedermi qualcosa. Se mi piace il succo di frutta alla pera, per esempio. Cose semplici e piccole. Perché parlare dei colori e dei film sarebbe già troppo. Si comincia sempre dalle inezie perché lì c’è già tutto a saperle leggere. E si ride tantissimo del modo in cui una persona fa la spesa, ad esempio o della temperatura del caffelatte. È molto più facile con gli sconosciuti: tutto è irripetibile. Si osa una verità che normalmente lasciamo a casa, chiusa in un cassetto col doppio fondo. Come all’estero o nei treni a lunga percorrenza. Sarebbe stato bello incontrare quella donna sull’intercity Milano-Crotone  o per le strade della Ville Lumière. Avrei avuto qualcosa su cui scrivere, qualcosa di cui innamorarmi.

Delia Cardinale

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