Inutile negare che il mondo dei social network ha rivoluzionato – nel bene e nel male – il nostro modo di comunicare. Pensate solo, per un attimo, alla differenza fra una serata al pub con gli amici cinque o sei anni fa e adesso: oggi è fin troppo facile vedere gruppi di ragazzi seduti allo stesso tavolo che, invece di parlare fra loro, fissano i display dei propri smartphone e interagiscono con gente non presente in quello stesso posto.

Follia.

Una follia già talmente radicata da doverci pensare su seriamente, da dover prendere in considerazione quello spot in cui i protagonisti venivano “protetti” con un collare – tipo quelli che si usano per evitare che i cani si lecchino le ferite – che impediva loro di rivolgere lo sguardo verso il cellulare.

Qualche tempo fa ho scritto il mio Diario di un mese no social: una specie di esperimento “forzato”, a cui ero stato indotto dalla necessità di sospendere il mio account facebook per una trentina di giorni.

Oggi torno a fare qualche considerazione sulla preziosa differenza fra identità virtuali e identità reali.

Già, perché crearsi un’identità virtuale, ormai, è un’operazione incredibilmente semplice, si hanno a disposizione tutti i mezzi desiderabili e si può giocare con un’infinità di livelli di sfaccettautre: dalla più sincera e rispondente alla realtà – praticamente inesistente – a quella totalmente falsa, con nome, foto, età, interessi e sesso inventati di sana pianta.

Nessuno di questi due estremi, tuttavia, mi spaventa: il primo perchè è vero, il secondo perchè è facilmente smascherabile.

Il rischio più grave lo si corre di fronte a un’identità virtuale plasmata su una reale, ma modellata a proprio piacimento: ciò che, a livelli più o meno approfonditi, facciamo un po’ tutti quando scegliamo cosa condividere e cosa evitare sul nostro profilo facebook, i pensieri da twittare e quelli da chiudere a chiave nella nostra testa.

Per me la comunicazione è un elemento fondamentale: scrivo, cerco di fare l’artista, dunque non posso astenermi dal creare un profilo che sia più o meno pubblico, che racconti, che venga letto e interpretato. Ecco, sì: non sono innocente, anch’io mi macchio del peccato originale dell’era dei social network, anch’io possiedo un’identità virtuale in un certo qual modo costruita.

Recentemente mi è capitato che delle persone, precedentemente contattate attraverso facebook, mi abbiano detto che è stato bello conoscermi e condividere con me una certa esperienza importante. Wow! Capite la profondità di un pensiero così banale? Ecco: allora sono ancora una persona reale – mi son detto – capace di suscitare emozioni, diverse da quelle che possono scatenarsi attraverso un link condiviso o una poesia scritta e pubblicata su un blog. Ci sono stati momenti in cui non lo credevo più possibile, devo ammetterlo.

La cosa fondamentale è fare in modo che, quando questa identità virtuale si cala nella realtà, diventi il più sincera possibile: davanti a delle persone in carne e ossa occorre gettare via le maschere, via i telefoni, via gli occhiali scuri. Davanti a delle persone in carne e ossa bisogna guardarsi negli occhi e sorridersi, parlare, parlare, parlare. Far sentire il suono della propria voce, le inflessioni, le incrinature di quando si sta raccontando qualcosa di triste e il tono squillante per gli eventi divertenti.

E’ in quel momento che le cose belle si tramutano da vagheggiate a reali.

E’ in quel momento che scopri quanto è confortante avere degli amici.

E’ in quel momento che ti accorgi di quanto è piacevole vedere una persona distendersi in un sorriso per qualcosa che hai detto.

E’ nell’incontro, nella chiacchierata, nel momento stesso in cui diventa fluida e sincera, che smetti di mentire a te stesso e agli altri, che scopri le persone e le apprezzi veramente.

C’è un momento per raccontarsi attraverso le pagine di un libro, uno per ritrovarsi nelle parole di una canzone, uno per dare un flash di se stessi in un post di un blog. Ci sono pensieri da twittare e pensieri da apprezzare con un Mi piace. Ma, dopo di tutto questo, c’è un momento per scoprire le carte in tavola e guardarsi negli occhi senza il filtro del display del proprio smartphone. Ed è allora che devi far valere gli anni e le esperienze della tua adolescenza vissuta senza neanche il telefonino, quando per chiamare un amico, se non eri a casa, avevi bisogno di una scheda telefonica e una cabina. O, in alternativa, di una bicicletta per raggiungere casa sua.

I social network non sono il demonio, creano qualcosa di positivo, sanno accorciare le distanze se usati nel modo giusto. Ma è davanti a un caffè, o su una panchina nel parco, o in riva al mare che la vita accade.

E la vita, quando accade, è molto più bella della realtà virtuale.

 

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This work by Manlio Ranieri is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International License

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