Come un libro a rovescio, scritto allo specchio dall’epilogo. Una fiaba orientale senza morale o il piccolo e intenso haiku che non si spiega. Questo scheletro di sonetti e madrigali, iperboli e metafore, virgole e paragrafi… Un cuore d’esperanto, costruito sull’intensità linguistica di tutte le parole-rapimento, per questo denso magma che ribolle indistinto, tra il dolo dell’esperienza e la colpa della sua espressione parziale. Come una ballata-epitaffio questo incedere, stessi di continuo sulla sponda di un fiume vorticoso da guadare o tra i binari della ferrovia più grande del mondo. L’ebbrezza di un rischio perenne da descrivere con le più belle parole. E tutto l’alfabeto elettrico che si contrae furibondo in questa mia grancassa di cartone, cerca la democrazia del significato. Secoli di traduzioni dal sentire all’esprimere, per lasciare la mia isola pirata e conoscere tutti i porti. In ogni viaggio il mio cuore è un tamburo, lembi di pelle intorno al vuoto: percussioni che coprono ventimila leghe. E ogni faro che m’invoca con un fulgore tale da stupire la mia ciurma-fantasma, deciderà la rotta. Le coordinate della mia isola sono segrete: è lì, nel ricordo di tutte le navigazioni, che nuoto nuda nella sorgente delle parole. Che io possa riuscire a raccontare ciò che vedo, di volta in volta e portare l’Oriente all’Occidente e viceversa. Più conosco e più mi avvicino alla comprensione reciproca, nei meandri dell’umano: per questo, se vuole innamorare, il poeta si parafrasa da solo, l’autore si commenta, tutto nel guscio della stessa opera. A volte l’ambiguità resta e la polisemia si fa arte, ma che non sia quest’arte anche nella vita, anche se c’è un confine sottilissimo tra l’uomo e la sua passione più grande. Da sempre fraintesa e per questo sofferente, ho deciso direzioni parallele a seconda dell’intenzione: spesso la scelta di comunicare violenta l’arte, e l’arte si fa solitaria torre d’avorio. Se per una qualche rivoluzione sia chiara e lineare la sintassi, se per ricalcare l’emozione si frantumi pure. Eppure padroneggiare tutti i fili delle parole che sono marionette vive, di carne e sangue, è prerogativa del raziocinio. Questa mia natura passionale e furiosa si fa beffe delle scelte di poetica. Per questo la guerra per arginare la tendenza alla solitudine dell’incomprensione, all’ambiguità che intinge la mia vita e le opere. Una guerra sfiancante che non so vincere. Nei racconti, una via di fuga… e questo mio essere resta, nella sua purezza più autentica, incomunicabile. Amare Calvino e somigliare alla Woolf. Cercare l’equilibrio sui cornicioni e la bellezza nelle discariche.

Delia Cardinale

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