Potessi essere una di quelle corde, canterei per lei sola tutto l’amore del mondo. Bramare quelle dita sulla pelle, di seta o minugia secondo le sue voglie: grave o acuto il suono che potrei darle, seguendo tutti gli spartiti, tutta l’armonia che da sempre mi sfugge. È sonoro e mutevole il suo universo quanto il mio muto e immoto. Incomunicabile questo mio alieno sentire, agli antipodi del ritmo e dell’armonia che lei tanto ama. Solfeggio sbilenco di parole che la gola costringe alle stanze, stonato al suo fine orecchio d’artista. E mi perdo lungo la linea distesa delle ciglia e sulla palpebra serrata chissà dove. Indugia lo sguardo sulle labbra dischiuse d’Euterpe, mentre la visione sottentra al reale, permettendo al mio cuore un ascolto metafisico. Quarantasette volte tra le sue mani, fossi l’arpa che accarezza…o il rapimento della mente quando fa l’amore con la musica. Vestita di note, in deliquio su tutti i miei sogni. Salirei per lei la scala cromatica, come un dio…potessi davvero spezzare le catene e raggiungerla. In ginocchio la contemplo ma non so comprenderla. Vorrei distruggere la quarta parete del palco, quando suona assorta e lontanissima, baciare le sue dita d’alabastro, bianche e laceranti serpi che vorrei m’avvelenassero. Potessi capire i  concerti, afferrarla, ma scivola via il suo essere, smarrendosi nei meandri della percezione acustica…là dove, per natura, non so arrivare. Mi restano quattro sensi che venderei in cambio dell’udito, rinunciando perfino all’incanto della figura, all’agognato velluto della sua pelle, al sapore e al profumo. Si accorgerebbe di me, forse…se le potessi dire quanto amo la sua musica.

Delia Cardinale


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