Epica di un malanno

Guarderà il cielo nero della sera attraverso il velo scomposto di una sola lacrima, misero sfogo d’inopia per una donna che vive a metà: frammenti di emozioni, pensieri, conversazioni, rapporti,  briciole di pane, gocce di sugo, matite spezzate, serate monche, insonnia soporifera, mezze verità, questo il mondo di Anna, votato alla mezzadria tra voglia di combattere, armi sconvenienti e nemici immaginari.

Un giorno l’eroina si sveglia nel bel mezzo del caos, decide un principio ordinatore e scopre che l’unico modo per sopravvivere è accettare parte dell’entropia correggendone gli eccessi.

C’è qualcosa di forzato e poco naturale nel mettere ordine, ma questo ad Anna non deve importare: il viaggio è insidioso, sfiancante, ma non c’è alternativa al sacrificio quotidiano dei passi che arrancano.

Anna si sente sola, come può esserlo una spiga non mietuta, ma anche per lei verrà il tempo di diventare pane e quindi vita; ora giace divelta per metà nel foraggio e si dispera e compiace di non essere l’unica creatura dimenticata. O l’urlo o il silenzio per una donna che ha vissuto con troppa foga e adesso langue sgomenta nell’apatia.

Il sentire ovattato è una morsa senza uscita: per tutti Anna è assente, monocorde, sfuggente, legata a piccoli e stupidi riti…è una bambina assuefatta alla concretezza di sensazioni ricorrenti, note, ad una sola dimensione.

L’esotico, il nuovo, tutto ciò che un tempo stimolava la sua curiosità ha perso smalto, attrattiva, fosse tutto grigio il mondo, senza colori. Perfino l’arcobaleno che la stupiva da bambina non è più il ridente giocoliere di un tempo, ma una mesta figura in abito scuro, come a lutto.

Prima o poi, torneranno i colori nel mondo di Anna…le manca il giallo: era il suo colore preferito.

Lei immagina spesso una  stanza tutta gialla in cui ordine e disordine non hanno alcuna importanza e tutto si vive pienamente:  la paura vivrebbe nascosta negli armadi e ci sarebbe vita in ogni angolo.

 © Delia Cardinale

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