Ho sempre desiderato avere una tavola rotonda. Fare della mia casa una piccola Camelot e guardare tutti negli occhi, senza sforzo. Niente spigoli-lati-capotavola-angoli-distanza: tutti cavalieri dello stesso grado, tutti equidistanti da un centro vuoto. La perfezione del circolo ha qualcosa di magico, principio della cabala, di ogni rito o tribù, simbolo esoterico e divino che la mente umana astrae dal millesimale e dall’immenso. Ci saranno forse miriadi di persone dietro ogni volto, ma tanta parte di ciascuno resta fuori dal cerchio:non c’è abbastanza spazio per l’io nell’anfiteatro dell’alterità. Ed è santissimo dimenticarsi, trovare nello straniero che ci vive accanto una specie di confine che non è mai limite quanto mondo ulteriore.in frammenti. Farsi spicchio o scheggia ridimensionando per qualche tempo la propria essenza è come acquisire una specie di piccola saggezza, abbracciando un’assoluta condizione di parità, come sciogliendo, a poco a poco, il solido intricato dell’identità in una fluida goccia di se stessi . E forse non conoscerò mai veramente i miei ospiti, non saprò mai il loro colore preferito, se si svegliano presto la mattina, se hanno mai rischiato la vita o vissuto un miracolo…se preferiscono la crema al cioccolato, il tè al caffè, il burro alla margarina..se leggono i giornali o credono all’oroscopo, se restano affascinati da un cielo stellato o raccolgono foglie per la strada. Ma tutto questo, nel circolo, non importa. Niente importa se non il momento. Quel piacere che si prova nella condivisione di pane e parole, nel gorgo dello spirito dionisiaco che rende giustizia anche al silenzio. La leggerezza del gioco, lo svago di menti scevre dal basto del pensiero, l’inessenzialità di acume e logica…tutto annega in un delizioso oblio doveri, fatiche e rimpianti. A maggior ragione se la tavola è rotonda e le sedie tutte alla stessa altezza: ad ognuno non solo le stesse possibilità ma anche una stessa prospettiva. Che giocando alle carte nessuno dica di non arrivare al mazzo o facendo un discorso tutti riescano all’ascolto. Un calice in cui versare gli altri per poi bervi a piccoli sorsi: questa la mia casa. La mia casa che non è un luogo, ma un tributo di spazio e tempo all’umanità. Avessi un debito o una malattia. Eppure c’è solo bisogno di un piccolo pretesto per fare festa e di una certa disposizione a ricevere, malgrado tutto. Persone come schizzi di suono in una valle. Basta l’urlo da una collina perchè l’eco s’aggrappi ad ogni filo d’erba. Stesso principio dello sbadiglio e della risata; o delle mele in un cesto di frutta mista. Per questo, a parità di condizioni, un fiammifero acceso contagia gli altri se gli sono prossimi. Per questo è bello attenuarsi per godere la luce altrui. Per questo ho sempre desiderato una tavola rotonda.

Delia Cardinale

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