Essere presi in giro da un libro, non lo credevo possibile.

E invece il signor Bontempelli ha saputo fare anche questo ne “La vita intensa”, una raccolta di dieci romanzi “lillipuziani”, tutte avventure vissute personalmente dal narratore.

Siamo al confine tra testo e meta-testo, dove il gioco fittizio del racconto s’intreccia con i procedimenti narrativi, sospesi tra azioni immaginate, mancate o incompiute: leggiamo una storia che non c’è, i meccanismi che la reggono o l’impossibilità stessa di scriverla.

Sperimentalismo novecentesco allo stato puro, nato dalla poetica futurista ma già proiettato verso nuovi orizzonti. Lo scrittore approderà al “realismo magico” altrove, ma la creazione presuppone una tabula rasa, da qui la raccolta di romanzi come pars destruens di tutta una teoria che svecchia le basi stesse del genere romanzo.

Proprio in virtù di questa pretesa, Bontempelli si prende gioco dei grandi romanzieri ottocenteschi, da Dumas a Bourget, passando per D’Annunzio e Zola.

Per il nostro autore non importa la realtà- psicologica o fenomenica- ma le relazioni tra gli elementi narrativi, considerando la letteratura come artificio, incapace di verità e rappresentazione.

Ogni piccolo romanzo de “La vita intensa” è un dardo scoccato verso le convenzioni letterarie e bersaglio di questa particolarissima irrisione non è solo lo scrittore, ma anche il lettore tradizionale, sadico e voyerista.

Elemento comune a tutte le pieces narrative, nonchè collante per eccellenza, è l’ironia pervasiva che deforma fino all’assurdo la rappresentazione del quotidiano. Ma l’ironia bontempelliana va ancora oltre, squarcia la carta e, intrisa di una potente carica polemica, colpisce i dogmi di forma, veridicità e psicologia cristallizzati nella tradizione, fino alla ribellione degli stessi personaggi dei romanzi, portavoci della necessità di un rinnovamento letterario.

Siamo ai primi del novecento, le avanguardia divampano nel panorama culturale con l’obiettivo di destrutturare il concetto stesso di arte; Bontempelli coglie l’esigenza dei tempi, rendendosi però conto del bisogno di distruggere solo e unicamente per costruire.

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