Non ci mettono molto a ricresce gli organi interni, quando sei un’oloturia.

Ritrovarsi poi con almeno diciassette milze, ma ventiquattro fegati.

La perpetua meiotica maieutica di un essere in espansione.

Liquidi frammenti multipolari che si attraggono e respingono “con odio, con amore, ma sempre con violenza”.

L’invaso artificiale del mio cuore d’inchiostro s’era ossidato.

Tu sei stata l’ultima potente intemperia. Granitica principessa nera sorvegliata da un drago invisibile.

Come Giovanna d’Arco sono nata per bruciare.

Si sposa sovente la mia cenere con i morti viventi e i fatui fuochi dei singhiozzi emotivi. Poi dissolve.

Torna incarnandosi su nuove strade.

Divento sempre più grande.

Il cassetto non contiene più le intenzioni, neanche quelle vissute.

Ci si ritrova così a imboccare un ragazzo di Cracovia adottato dal bar di un piccolo paese, in casa di sconosciuti a farsi strappare la giacca da un cane, in un parcheggio sulla via lattea alle tre di notte, in aule vuote sui maxischermi, a dipingere barche sui sassi, sui morti di Marzabotto e lungo le rotaie di un treno che non passa mai.

Ciò che i passanti si sciolgono dietro mi veste di grazie. Comete sventrate dalla mia densa atmosfera, succhiate fino all’osso.

E i poteri magici delle donne al macero. Il bacio vampirico che nulla toglie, donando sempre qualcosa: un anestetico, una poesia.

È sempre un baratto, in fondo. Tra quella compressione stanca che vivevo e i tuoi frutti acerbi, per esempio. Tra le cosce schiuse di una sconosciuta e la sua storia da superstite.

Tra il mio essere una fottuta guida etica e Dante Alighieri.

Dalle tue briciole amare ho costruito una stazione: dirigo il traffico da un altoparlante e bevo caffè. Un voyeurismo orwelliano su certi aspetti dell’umano che, un tempo, erano solo dei libri.

Ho avuto bisogno di nuovi organi interni.

E adesso ti ricordo mezza nuda in cucina. Con l’impaccio di dover guardare il telefono. Con l’impaccio di dover mentire, sempre, in qualche modo. Perché io ero l’amica conosciuta tramite non so chi e non so dove. Ho inventato dei giochi, poi. Prima dell’ultima cena.

Biblicamente: prima che il gallo canti.

Come se non fosse stata una di quelle fiabe brevi che finiscono malissimo. Come se non avessi voluto accendere un fiammifero. Come se ci fosse, in questa città, un incrocio per le parallele.

Ti ricordo così: mezza nuda.

Come me, per una volta sola.

E mai più.

 

Delia Cardinale

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