Essendo la mia formazione principalmente letteraria e filosofica, prima di scrivere queste pagine ho letto e studiato tutti i testi scritti da scienziati, fisici teorici e astrofisici che ho trovato. Ho imparato molte cose utili che in qualche caso, però, partono da una premessa errata. Ossia che la filosofia sia morta. Se così fosse, non si spiegherebbero le migliaia di conferenze filosofiche che ogni anno, in Italia e in Europa, registrano il tutto esaurito. Oggi più che mai l’essere umano è alla ricerca.

I successi ottenuti dalla scienza sono stati determinati dal fatto che le domande sono aumentate via via che abbiamo trovato delle risposte, e che la sola esperienza dei sensi e il ragionamento non bastano più. Abbiamo inventato macchine che ci danno la possibilità di osservare realtà infinitesimali, che sono la trama sottile che sottende ciò che con i nostri sensi riusciamo a conoscere e che chiamavamo realtà.

Se abbiamo leggi che funzionano alla meraviglia, come quelle che Newton e Einstein avevano mirabilmente enunciato, negli ultimi anni abbiamo tuttavia scoperto che vi è una realtà più sottile dove queste leggi non valgono più e ne subentrano altre. Ciò fa pensare a Kant e alla sua cosa in sé. La quantistica è andata oltre, Kant aveva visto giusto ma neanche lui immaginava che saremmo arrivati a tanto.

I due sistemi di leggi che governano l’uno il macroscopico, l’altro il microscopico, sono la meccanica classica: con la legge di gravitazione universale, e la relatività generale per il macro; e la meccanica quantistica per il micro. La loro complementarità, nello spiegare i meccanismi di funzionamento dell’Universo (almeno per ciò che ne sappiamo) può essere assimilata alle leggi che sono alla base dello sviluppo delle società da un lato, e a quelle del singolo individuo dall’altro. Sociologia e psicologia individuale funzionano entrambe, sono complementari, e spiegano il macroscopico e il microscopico nell’umanità, così come meccanica classica e meccanica quantistica disegnano la realtà attorno a essa. Asimov nel suo Il ciclo delle fondazioni aveva immaginato la bella complementarità tra psico-storia e psicologia individuale.

Il vantaggio di avere una molteplicità di mezzi per affrontare un Universo così complesso: filosofia, scienza, sociologia, antropologia, psicologia, storia, neuroscienze (peccato non avere la psico-storia ma ne abbiamo tanti altri ancora), suggerisce un lavoro integrato, fatto non da singoli ma in squadra, tra diversi specialisti. Se si guarda alla storia della filosofia e del sapere in generale, ciò avviene da secoli. Oggi possiamo aumentare a livello esponenziale la nostra conoscenza nel tempo più breve, per le condizioni favorevoli sin qui descritte.

Purtroppo a tanti vantaggi corrispondono anche degli svantaggi. Il fiorire della scienza ha coinciso con la morte di Dio enunciata da Nietzsche. L’uomo ha ucciso Dio, e se ha acquisito la libertà di “ficcare il naso nei suoi affari” per così dire, ha anche rinunciato a un insieme di valori che dall’idea di Dio provenivano. Non sarebbe un problema se avessimo valori nuovi pronti a sostituire quelli che ci avevano incivilito e imbrigliato al tempo stesso, il fatto è che non ne abbiamo. La scienza si affanna ancora nella ricerca di una Teoria del tutto, che concili le tante leggi che ha, per spiegare l’Universo e noi al suo interno. Molto spesso, quando fa ciò senza l’ausilio di strumenti non ancora disponibili, inciampa essa stessa nella filosofia che poche pagine prima aveva dichiarato defunta. Per placare il senso di vuoto, il nichilismo, e l’angoscia che tanto spesso percorre la società contemporanea, non è bastata la diffusione, anche tra i non esperti, di mezzi tecnici all’avanguardia. Semmai ciò ha disorientato maggiormente le folle, frammentando i corpi sociali intermedi e molte altre forme di aggregazione, vitali per chi non ha una personalità da santo o da folle.

Anche qui ritorna, negativo, il dualismo. Da un lato i singoli, che sanno trarre beneficio dalla libertà che si estrinseca nella libertà di ricerca e conoscenza, dall’altro la società, composta da quel tessuto vitale di persone che svolgono i lavori più comuni e hanno spesso le esistenze più complicate, che non hanno né il tempo né la forza di porsi le domande fondamentali: ha un senso la nostra esistenza? Il nostro essere qui e ora? Abbiamo un ruolo in quest’Universo? L’Universo è finito o infinito?…

Sembra un circolo vizioso ma è solo una questione di prospettiva: se usiamo la lente della storia, scopriamo che è sempre stato così, seppure ogni volta si pensi di vivere tempi straordinari. Scoperte scientifiche rivoluzionarie ci sono già state (basti pensare al telescopio). Le masse non ne hanno mai tratto vantaggio all’inizio. Rimane vero, però, che la situazione oggi è più grave per la mancanza di valori che tengano insieme la società (si è parlato della morte di Dio creato e ucciso dall’uomo, è qui irrilevante purtroppo che Dio esista, è l’idea di Dio nella testa dell’uomo che è fondamentale).

La domanda da porsi oggi è come tenere insieme la civiltà occidentale e la libertà dell’individuo, con la sua possibilità di conoscenza, senza che si frantumi la prima e si creino le condizioni di barbarie che impedirebbero la seconda. Gli unici che potrebbero trovare risposta a ciò sono troppo presi da questioni vitali ma che rischiano di non giungere presto a conclusione, soprattutto se precipiteranno i costumi e la democrazia (che, per inciso, o è liberale o non è democrazia).

Forse pensare che non esista una Teoria del tutto, ma un insieme di teorie che descrivono modelli di realtà, è un punto di partenza. Integrare i campi di ricerca, come avviene già in molti centri universitari, è un’altra cosa fondamentale. Comprendere che non vi è una risposta, e che anzi ogni risposta non è altro che una nuova domanda, anche questo non sarebbe male. Sarebbe assurdo pensare di trovare la risposta, a meno di non pensare che sia “42”, come in Guida galattica per gli autostoppisti. Così arrivare ai punti saldi è importante, solo per usare questi da appoggio e spinta per le successive scoperte. Un sistema chiuso che noi possiamo comprendere appieno è forse quello dell’intelletto, come auspicava Kant, e già questo le neuroscienze lo annunciano più complicato di quanto non sembrasse. Pensare di comprendere e ridurre in legge o in algoritmo l’Universo che include anche noi, sarebbe un arrestarsi nel cammino verso il sapere, che non è mai un approdo ma un progredire sempre più ricco, o un viaggio sempre più profondo, se pensiamo alla meccanica dei quanti.

Non bisogna mai perdere di vista che ogni passo che si compie nella conoscenza è vano, se non migliora le condizioni di vita dei singoli e delle società in cui gli individui vivono (visto il restringersi dei tempi tra una scoperta e l’altra sarebbe auspicabile anche un ridursi dei tempi sul diffondersi dei benefici).

Collaborazione tra i diversi rami del sapere, dunque, e nessuna pretesa di assolutismo, affinché scienza e tecnica non diventino religioni ancora più integraliste di altre; e attenzione al benessere collettivo, del singolo e dell’ambiente come è necessario. Solo mantenendo questi capisaldi potremo tracciare un modello di realtà che sia naturale. Non dobbiamo scordare che l’essere umano è una creatura vivente, su un Pianeta che è la nostra dimora in un Universo (per ora) ancora troppo ostile. La luce che stiamo gettando lo scalderà un giorno, ma fino ad allora scienza e filosofia non devono scordarsi chi siamo e dove viviamo. Per fare questo dobbiamo comprendere che l’una dipende inesorabilmente dall’altra per continuare a vivere. La filosofia deve aprirsi al sapere scientifico, di cui oggi non può fare assolutamente a meno; e la scienza deve ritrovare le proprie origini, non può non conoscere Pitagora, Talete, Platone, Aristotele…

Quanto più l’essere umano creerà connessioni neurali integrate, tanto più potrà migliorare, non solo in ciò che sa ma anche in ciò che è. Questo sarà solo un passo, ma siamo tenuti a farlo nel cammino con cui attraversiamo e caratterizziamo i millenni.

 Davide Venticinque

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