L’albergo si era quasi svuotato.
C’era stata una convention di dentisti nei giorni precedenti, che aveva richiesto un surplus di personale e aveva creato una certa frenesia nei corridoi e tra i dipendenti. Ma quella mattina tutto era tornato alla desolante normalità.
Forse è stato per quello che ho fatto ciò che ho fatto.
Lavoravo lì come cameriera ormai da cinque anni. Ero impiegata ai piani, vale a dire che mi occupavo delle pulizie delle camere, dei bagni, rifacevo i letti. La mia responsabilità era garantire una immagine pulita e positiva.
“Noi non vendiamo solo letti, ma cortesia ed atmosfera”, era il motto del direttore del personale al termine di ogni riunione con i dipendenti.
Il mio lavoro consisteva nel curare l’immagine e salvare le apparenze.
Praticamente ciò che mia madre ha sempre fatto nella nostra famiglia e probabilmente mia nonna prima di lei.
Il mio turno iniziava alle 6.00. giusto il tempo del caffè alla macchinetta per scambiare due chiacchiere con Lucy, di solito per lamentarci del lavoro, dei figli, del caro benzina ecc.
Pochi minuti per indossare la divisa e via, armate di secchi e spazzoloni.
Entrare nelle camere abitate da gente sconosciuta, sfiorare i loro oggetti più intimi mi ha sempre fatto sentire potente, capace di penetrare nelle vite degli altri indisturbata.
So bene che non si dovrebbe fare ma ho sempre spiato tutti. Ho osservato come ripiegavano i vestiti, controllato il tipo di pigiama che indossavano, se avessero con sé foto o ricordi particolari di famiglia, figli, amanti. In ogni stanza ho cercato qualunque traccia di una vita vissuta altrove.
Non ho però mai toccato o sottratto nulla.
Fino a quella mattina.
Non so bene cosa sia accaduto, è stato un attimo. Guardare non mi bastava più, ho sentito il bisogno di portare via con me dei frammenti. La prima volta, ricordo bene, è stato nella camera di una donna in viaggio d’affari. Tutto era in ordine, sistemato con estrema meticolosità, con naturalezza mi sono infilata in tasca una forcina per capelli. Quello è stato il primo passo.
Ho iniziato con i profumi. A quanto pare tutti portano con sé un profumo quando viaggiano, forse per conservare l’odore di casa. Ho cominciato a raccogliere poche gocce travasando il liquido in piccole boccette che portavo in tasca.
Poi col tempo ho alzato il tiro. Ho raccolto capelli incastrati nelle spazzole, scontrini dimenticati, post-it con su scritti appunti, biglietti della metro, ticket di ingresso ai musei, rossetti, lamette da barba usate, foulard, cartoline, una volta sono stata così fortunata da trovare una foto, ritraeva una donna bruna con in braccio un bambino di pochi mesi. Aveva un abito rosso e due occhi giganti, felici.
Non ho mai sottratto nulla di valore, solo oggetti apparentemente insignificanti, intorno ai quali poter costruire storie. C’è chi colleziona francobolli, monete, moto d’epoca, io vite, o meglio frammenti di vite altrui, che erano immancabilmente soddisfacenti, appaganti, piene, semplicemente perché non erano la mia.
Con molta attenzione raccoglievo e catalogavo tutto, data, numero della camera, pochissime informazioni sull’ospite, se si trattava di un uomo o di una donna, se era solo, se era in viaggio per lavoro o per vacanza. Poi inserivo tutto in delle piccole bustine di plastica trasparente e le conservavo in un ripostiglio chiuso a chiave che avevo scovato vicino allo spogliatoio, nel sotterrano dell’albergo.
Ma forse questa è stata la prima leggerezza da parte mia. Dovevo prevedere che prima o poi qualcuno avrebbe scoperto il mio segreto.
Ho provato a spiegare, e questa forse è stata la seconda leggerezza commessa. Non ho mai creduto che stessi facendo un torto a qualcuno, in fondo ho solo provato a ritagliarmi un posto dove fingere di essere qualcun altro.
Ma nessuno ha capito.
Sono stata licenziata. Mi hanno detto che devo stare qui qualche mese. Non è male qui.
Cercano di riempire le nostre giornate per non farci pensare, ci sono i laboratori di ceramica, i gruppi di dialogo, la terapia da prendere, i colloqui con i dottori, le passeggiate in giardino.
Il dottor Dumbar mi ha consigliato di scrivere la mia storia, così oggi ho preso un quaderno e ho iniziato così:
Cosa le persone vorrebbero? Tutto ciò che meritano. Più tempo, una vita sociale piena, più soldi, un lavoro gratificante, una famiglia amorevole. Cosa riescono ad ottenere? Una continua e sfibrante ricerca della felicità.

testo Nicla Gadaleta
immagine dal web

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