L’anima ondulata dei cartoni e quelle forbici scalari da compensato e pellicine, la spianatoia col taglia pasta a zig zag, piccoli cesti di vimini, l’impasto di vinavil e sale grosso, mattoncini di sughero per gli archi a tutto sesto, i funghi pigna, la scelta dell’orifiamma- moby dick per una pozzanghera di Lilliput, pietre vere dal fiume e colla a caldo, col motorino cinese e il pescatore di plastica, i fiori secchi di cardo, muschio stellato, fiammiferi e ferro filato: la natività in un camino morto e l’antica pazienza dei mosaicisti, pinzette e stuzzicadenti. Le nostre frittelle nello zucchero raffinato, una donna di spalle sull’olio che frigge, grandissima e di un altro tempo. Quello prima della clinica, prima della decadenza.

La mia e la sua.

Quando l’industria era solo quella delle mani, di calma e maggese. Camminare per le strade di una qualunque città con un metro in più cambia tutto: si vedono le ciminiere, i tabelloni delle partenze a brutti led arancioni e le teste chine sui palmi pesanti di marketing e giga.

Il paese dista mille chilometri e l’infanzia mille anni. Aspetti l’applicazione di Einstein-Rosen nel “more science”, la metropolvere, una qualche magia che smagrisca le farmacie, i mangiafuoco dei pusher a parco Sempione e i padroni dei monolocali per cui vendiamo ore ed ori. I vecchi banchi dei pegni banchettano sugli olocausti di Equitalia, mentre l’orifiamma ingrassa nell’allevamento ittico per sembrare persico, e il persico studia per farsi cernia, la cernia spada. Lo spada aragosta. E gli androidi fanno i cassieri, mentre i cassieri fanno i centralinisti e i centralinisti puliscono le strade, i netturbini mettono benzina, i benzinai si danno al biologico e i contadini studiano meccanica. Un traslare continuo di cose e persone, da qui a Santa Maria di Leuca, dai cartelloni pubblicitari alle aree metropolitane. Le guerre robotiche mimano i videogames, schermi e joystick per giocatori inconsapevoli. Mani e occhi nei vomitoria ricolmi del centro città, tra buste e luminarie, manifestanti disposti a cubo e abbracci gratis: è quasi Natale, bisogna allestire la mangiatoia e vestire i magi alla Rinascente. Santificare le feste con le mani giunte sulle mastercard, nell’attesa del tredicesimo apostolo.

Bambini e cani a spasso vestiti di cashmere e superbia, mentre da un altro tempo qualcuno ritaglia una cometa di cartoncino, scioglie zucchero in padella e aspetta la mezzanotte con un pupazzetto sbiadito. E poi c’è questo tenersi per mano a Milano, senza comprare niente, già pieni nel freddo bianco chiassoso di un viale senza fine. Basta ridere di un cubo-pavone buffo, oltre le spallate dell’ingombro umano, donare sorrisi agli artisti di strada, mangiare l’odore delle caldarroste.

Cose molto piccole, nella bocca di Pantagruel.

Nevica a tratti e gli ombrelli non si girano. Da qui non si vedono le stelle, s’impara ad indovinarle sui condomini, sugli aghi litici del Duomo, sulle curve delle palpebre. La memoria del sangue s’annoda agli occhi scuri di una strega. I vicoli scuri s’accendono a tratti, come il passo, come la neve.

Delia Cardinale

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