E’ difficile spiegare la sensazione. Quando le luci del palazzetto si spengono e si riaccendono quelle del palco. La folla si assottiglia in un blocco di corpi sudati, lo spazio vitale inesistente. Le braccia sconosciute si intrecciano, amoreggiano. Gli occhi si riempiono di colori e di lacrime. Le dita fremono, solleticano l’aria satura di fumo e di gioia. Tom Meighan si muove sicuro, elegante nel suo completo scuro, il vezzo degli occhiali da sole con la montatura bianca gli dona. La scaletta racconta la storia di tutti gli album della band britannica, fino al nuovo fluorescente “48:13”. “Bumblebeee”, “Days are forgotten”, “Ezz – eh”, “Bow”, “Fire”, “Goodbye kiss”, “Praise you”, “Lsf” e persino una “Ghostbusters” in versione Kasabian. Allora ti ritrovi a fare cuori con le dita e ad urlare “Grazie! Vi amo”.

Sergio Pizzorno con quel suo strano taglio anni ’80 raccoglie una bandiera, la mette sulle spalle, si inginocchia verso il pubblico che vorrebbe salire sullo stage ed abbracciarlo. “Grazie, mi emozionate, mi sembra di essere a casa, vi amo”, il suo italiano è stentato quasi quanto il nostro inglese e quando va via dandoci le spalle, sembra uno scheletro con un mantello tricolore.

Le luci si riaccendono ma gli sguardi non si spengono. Camminando su un tappeto di bottigliette di plastica, bicchieri e mozziconi ci guardiamo intorno mentre mugugnando il ritornello di “Fire”, riusciamo a scattare l’ultima foto prima che la sicurezza ci dica di andare via. Poche parole, sempre la stessa frase mentre ci allontaniamo dal PalaLottomatica dopo aver comprato le magliette del gruppo: “E’ stato stupendo”.

La copertina: 48:13, Kasabian

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