Ho capito che quello a cui stavo per assistere era un evento diverso dal solito quando, lungo il vialetto di accesso all’Orion di Ciampino, ho letto una scritta a Uniposca sul muretto: Inhaler, 14/05/2023. Un cuore e un cappello stilizzati, alla maniera di quello spesso indossato dal frontman Elijah Hewson. Era un piccolo particolare, ma per un appassionato di musica dal vivo come me faceva una grande differenza.
Sì, perché – diciamocelo – spesso, ultimamente, ho avuto l’impressione che i grandi concerti Rock, per quanto belli ed emozionanti, si stessero pian piano trasformando in specie di eventi celebrativi per vecchi nostalgici. Un po’ la differenza fra un Oscar alla carriera e uno come miglior film, se mi passate il paragone azzardato.
Ecco, in questo concerto, invece, ho avvertito una freschezza, un’energia che non vedevo da qualche decennio: quella di un pubblico che deve ancora scoprire e scoprirsi, deve assorbire l’amore per una band sulla pelle, nella mente e con ogni senso.
L’ho avvertito fin dalla scaletta di musica d’ascolto che precedeva il concerto, quando una platea incredibilmente variegata cantava e ballava all’unisono dai Talking heads ai Queens of the stone age, dagli Arctic monkeys ai Nirvana.

Le persone che sono venute ad assistere a questo live avevano età comprese fra i 6 e i 60 anni, e tutte le età incluse in questa fascia erano rappresentate in egual modo.
Ora: se da un lato sono sicuro che la maggior parte dei quaranta-sessantenni che c’erano, si trovavano lì perché hanno accordato fiducia al giovane Elijah in virtù dell’amore sconfinato che provano per suo padre – ok, lo dico per chi non lo sapesse: il cantante degli Inhaler è il figlio di BonoVox, leader degli U2 – lo stesso non si può dire per i tantissimi adolescenti e ventenni che, nelle prime file, hanno urlato, regalato rose e cappelli serigrafati al loro idolo, cantato a squarciagola ogni canzone. Questi, forse, gli U2 li hanno sentiti nominare solo di striscio.
No: loro sono ragazzi scaldati dal sacro fuoco del rock, e sapere che ce ne siano tanti e tanto entusiasti, anche fra le giovani generazioni è una carezza per l’anima.
Così come lo è la musica degli Inhaler, intendiamoci: chi li ha conosciuti grazie alla parentela illustre non può non aver riconosciuto in loro un’umiltà e un’energia, un songwriting che meritano fiducia e apprezzamenti a prescindere.
Siamo di fronte a un gioiellino che unisce tre generazioni.
Spero tanto che lo showbiz non lo fagociti.

Sempre di più ho la sensazione che si stia muovendo qualcosa, nel sottobosco della musica, qualcosa che ci sta riportando verso un’energia nuova, che sembrava smarrita. Dall’Irlanda e dall’Inghilterra arrivano – forti di prime posizioni in classifica – band di giovanissimi che imbracciano strumenti veri e fanno musica ruvida, diretta, senza orpelli, senza badare troppo all’estetica e alla ricerca ossessiva dell’immagine.
Finalmente, negli ultimi mesi, sto avendo l’impressione che anche una piccolissima fetta del mondo italico – sempre indietro rispetto al resto del pianeta in quanto a cultura musicale – stia tentando di scrollarsi di dosso la patina lucida della musica omologata alla melodia sanremese, per emergere.
Lunga vita al rock. Sento di poterlo dire dopo anni di paura che stesse davvero per morire.

 

Testo e fotografie di Manlio Ranieri

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