Per un istante alla forca e schiusa la botola sotto le suole. In espiazione. Lo scorsoio accelera per avvinghiare la gola, spezzare le vertebre, ricongiungere nell’eternità l’antinomia che m’informa, da sempre. Sullo squallido patibolo del giudizio l’auriga sbriglia i cavalli, fiaccata la biga alata da moti ascensionali che gorgheggiano tutt’intorno. Applausi luciferini e celeste dannazione. Ma è l’attimo dopo, quando sfilaccio corde d’adamantio frustando le bestie, quello in cui so vivere. E grido un silenzio di muti secoli in ascolto. Niente può più stuprarmi l’anima, se non lo specchio. Distrarre l’attenzione dal volto con un buco nei collant. Controllare la forma controllabile. Ovunque sia. E il corridoio bianco dietro le cornee, i numeri, quel ritratto di Kafka del mercoledì. Primo piano. Sfilate biascicanti di pigiami sporchi, Minnesota, le carte ogni tre mesi, la biro senza corpo che mi masturba sotto il tavolo. Eccessi. Etichette. Mania e ipomania. Tutto questo e molto altro che non so dire, nel riflesso. E mi cerco, come Peter Pan la sua ombra capricciosa. A volte m’incontro senza riconoscermi. Rasoiate sulla coscienza e voglia di bestemmiare. Ma non sono io davvero. China su tutti i cessi, in preghiera. E c’era una fata, tempo fa, che m’insegnò a volare. Non avrei mai lasciato l’Isola che non c’è. Eppure sono già vecchia. Sorriso sbilenco che qualcuno ha perfino amato. Mi avete guardato sotto i denti, ma non ho nome, nè numero, nè fede. E l’esistere come una promessa. Sono stata salvata. Mi sdoppio per parlarmi e ricongiungo per parlare. A te che leggi. A te che ascolti. Chiunque tu sia. Perchè solo il respiro è sincero lungo i rintocchi di questa palude in festa. La patologica ricerca dell’elettricità, ecodoppler dell’anima: una maledizione. Per questo gli eccessi, il desiderio, la gioia, la fluidità. Lasciarmi attraversare da un emozione, per farla durare e insieme dimenticarla. E le donne mi sfilano accanto senza lasciare niente. Bei culi che si sovrappongono fino all’archetipo. Non ho niente da dare e nessuna predisposizione a ricevere, come il Sahara, come l’Antartide. Tremando come la California, in una notte qualunque. Ma non avevo freddo. Psicosi delle quattro e quarantotto. E broxismo da sopportare. Le avrò detto delle cose, tra le ortiche, ma non ricordo. Pruriginosa sensazione della recidiva. La conoscenza di tutto questo è così profonda da riderne. Bacio o taglio non fa differenza, purchè sia profondo e bagnato. Lacrime rapprese in ogni caso, anche se non so più piangere. E in quelle lacrime una gioia immensa. Sono ancora qui. Sono libera. E viva. A innamorarmi delle parole, delle losanghe sul materasso, delle passanti lungo i binari, di tutti gli odori e i sapori, delle rughe sulla fronte, dei particolari insignificanti. Il cuore lavora di cesello e la mente spazia in immensi altrove. Lei di fronte, schiena contro il muro, fibrillazione endemica e un grande infinito nulla. Ed ero sull’uscio a catturare i pareri che suscita, in tutti gli altri. Oceani di china. Continuo a guardare il quadro detestando chiunque abbia scelto la cornice. Forse proprio lei. Non sfiorisce il loto della dimenticanza e dell’eccesso alcolico…

 Delia Cardinale

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