Cercando la stella polare a tentoni, nel buio di una notte senza fine. Qualcuno gli ha sfilato via dalla tasca quella piccola bussola vinta a poker barando, qualche tempo prima. Non sa più dov’è il Nord nè i suoi antipodi e una foschia impietosa sfuma ogni riferimento celeste. Sono tutte uguali le strade, identici i portoni sdruciti dall’umido, i civici, i randagi…ma non conosce scoramento l’animo di un viandante che ne ha perse di mappe e coordinate. Dopotutto è un libero professionista che consegna pezzi d’antiquariato modificati dall’estro artistico: per lui il tempo è relativo. Le sue opere hanno un valore inestimabile e quei pochi fortunati che riescono ad ottenerle si riempiono la bocca col suo nome. Ma a lui non importa il guadagno, ha da vent’anni la stessa giacca rattoppata alla buona, la stessa barba lunga. Nella tasca gli pesa un piccolo oggetto incartato con un foglio di giornale. Deve fare una consegna,anche se è tardi. Un minuscolo carillon di cristallo a forma di grammofono che canta le note di Chopin. Ne aveva costruito uno identico anni prima. Vagando per la città cerca nel ricordo la strada giusta. Molte cose sono cambiate. La memoria gli restituisce un portone di legno grigio tutto scrostato, scale sudicie, pianerottoli con pozzi luce bardati di grate lanceolate…davanti la porta del primo piano un paio di stivali gialli, sporchi e dimenticati…poi ancora scale e a sinistra quella porta schiusa… l’aveva sempre inquietato quel poster dello chat noir che ornava l’ingresso della casa, e tutta una serie di cartoline sparse sulle pareti con figure a metà tra donne e animali, nere su fondo chiaro…e Anna Magnani, Frida Kahlo, poster di opere contemporanee che non capiva…quella piccola cucina con le tende panna vagamente floreali… e a sinistra la stanza bianca col soffitto ogivale…addossato al muro le lenzuola di madreperla sul letto a due piazze..le sue mani rudi d’artigiano sul corpo avorio di una donna bellissima, le stesse mani che nottetempo lavoravano al piccolo carillon…e lei parlava di capitani di ventura e marinai con tono diplomatico, fossero i quadri di una galleria…e la sua voce roca, tutta la distanza tra loro, tutta la vicinanza…e il suo guardarle attraverso, a volte, come abbracciando il velo di una sposa, quegli occhi di ghiaccio ardente, la pelle da bambola…il suo inafferrabile mistero di donna vietata, estranea, libera…non ha mai potuto inginocchiarla, pensa…mai voluto riversarsi in lei come il Gange velenoso, mai restarle troppo accanto… goderla come una visione, questo si…ascoltarla come musica classica, sfiorarla senza toccarla mai..è dopotutto un uomo egoista che non sa amare, un artista della materia innamorato del vetro, del legno e della creta… non c’è in lui posto per nient’altro, neanche per il desiderio, forse…come lo scrittore che vive di parole, l’artigiano sa abbandonarsi all’amplesso solo con ciò che crea…una specie di Narciso che si ammira nel torrente e sa bastarsi…verrà forse punito un giorno, ma allora sarà tardi per tornare in quella casa o bussare a tutte le porte che ha aperto e richiuso con tutta la foga della ricerca sempre frustrata..

Per quella donna aveva creato il grammofono con Chopin…e dopo trent’anni la stessa donna, afflitta, l’aveva chiamato in lacrime dicendogli che da quando il nipotino aveva rotto il suo carillon non riusciva più a dormire. A volte si è essenziali anche nell’assenza…a volte non importa ciò che si è perso ma ciò che si è lasciato…

Cercando la stella polare a tentoni, nel buio di una notte senza fine, l’ uomo lascia un piccolo incarto davanti allo stesso portone grigio di tanti anni prima. Sparisce poi nella nebbia dell’alba che già s’annuncia sui tetti. Spenti all’unisono tutti i lampioni, resta sospesa sulla strada l’ombra di un sorriso.

Delia Cardinale

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