Va bene, non farà la storia della musica internazionale né di quella italiana (meglio così, d’altra parte), ma questo gruppo di quattro ragazzi, nati e cresciuti all’ombra della tomba di Dante, tiene davvero al “Tornado” che ha realizzato. E nel deserto musicale del nuovo millennio non è affatto poco.

I Rigolò cercano di inventare, ci riescono e aggiungono un violoncello, dolce e malinconico, agli altri strumenti così il loro post rock resta leggero senza concessioni alla frivolezza e mai banale.

Gli otto brani, da “Gone” a “Bon voyage”, conducono tutti in atmosfere che vien voglia di percorrere, con un bel ritmo che non ti fa smarrire né sedere e che non diventa mai decadente.

Richiamano i Baustelle senza diventarlo.

Borders” e “Society” sono ben suonati, con le chitarre elettriche in evidenza, mai sovrastate dal synth o da troppi effetti, come “Tempesta”, dai toni arabeggianti, e “Happyness” (una ipsilon in crisi di identità, forse, ma fa niente). Neanche “Mexico” e “Two tickets to fly” tradiscono alcuna debolezza.

I tratti strumentali lievemente folk e privi di eccessi sono ovunque buoni e promettenti, tanto che verrebbe voglia di vederli dilatati, oniricamente allungati, e sorge il chiaro desiderio che le canzoni si espandano oltre i quattro minuti.

Andrea Carella e Jenny Burnazzi, uniti nella vita e nel cantato, uniscono costantemente le voci. In fondo Sandy Denny, Stratos e Di Giacomo non ci sono più da tempo e alla fine di questi 32 minuti di musica ti viene voglia di dire “Bravi!” e di continuare a seguirli.

Insomma, “Tornado” è un bel disco.

E in un panorama commerciale in cui la musica che altri decidono che dobbiamo ascoltare ha una forte crisi di identità questa è una gran bella notizia.

Recensione a cura di Davide Somma, esperto musicale.

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