NAPOLI – L’uomo che supera il computer, la memoria storica che batte la memoria ram: la ricerca delle spoglie di Vico, per la quale erano stati utilizzati moderni sistemi di monitoraggio è arrivata a una svolta grazie alla testimonianza di un ottantenne che ha ricordato i suoi studi di sessant’anni fa e ha spiegato «il corpo del filosofo è lì».
Questa storia è iniziata la settimana scorsa, perciò per comprenderla bisogna riavvolgere il nastro e concedersi un flash back.

Ripercorrendo la strada già battuta da Benedetto Croce, il rettore del complesso dei Girolamini, don Sandro Marsano, ha deciso di riaprire la campagna di ricerca delle spoglie perdute di Giovanbattista Vico. È stato individuato un luogo all’interno della «cappella dei fanciulli» ed è stata costituita una squadra di ricerca composta da Fabio Sansiveri dell’Osservatorio Vesuviano (per gestire l’avveniristica termocamera), dal geologo Gianluca Minin, e dallo speleologo Luca Cuttita.

Alla partenza delle prime ricerche il nostro giornale ha dato notizia della novità e l’articolo ha avuto una vasta eco. È arrivato anche sulla scrivania di un architetto in pensione, Vincenzo Spada, che ha avuto un sussulto: quelle stesse ricerche lui le aveva condotte sessant’anni fa.

Qui termina il flash back e comincia la storia attuale. L’altro giorno Vincenzo Spada ha bussato al portone dei Girolamini: «Io so dove sono i resti di Giovanbattista Vico». E senza nemmeno entrare nella chiesa ha spiegato con precisione che si trovavano al di sotto del pavimento in una cripta sulla destra del portone grande.

Un particolare aveva colpito Vincenzo Spada quando era giovane architetto: «Ho letto antichi documenti secondo i quali Vico è stato sepolto con un saio addosso, mi è sempre sembrato strano perché non aveva mai preso i voti». Subito dopo aver salutato e ringraziato l’architetto Spada, il rettore dei Girolamini ha chiesto di andare a verificare. Nel luogo descritto dall’architetto c’è realmente una cripta; sollevata la botola si percorrono dieci scalini e si finisce in una camera quadrata dove ci sono gli antichi «scolatoi», e una sola bara. All’interno ci sono resti inceneriti di un corpo coperto da un saio.

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L’emozione è stata immensa, ma il rettore Marsano ha imposto a tutti di mantenere la calma: «Solo quando gli esami scientifici daranno certezze potremo dire che queste sono le spoglie di Giambattista Vico».

E per far scattare immediatamente il progetto di approfondimento si è rivolto a Marielva Torino, docente di Archeoantropologia al Suor Orsola e appassionata ricercatrice di memorie storiche della città.

La professoressa ha iniziato il suo lavoro ieri mattina; accompagnata da don Sandro Marsano, e da una parte del gruppo di studio, si è calata nella cripta e ha effettuato un primo esame dei resti. Il primo sopralluogo, semplicemente «visivo» ha consentito di stabilire un primo punto: «Quello che a prima vista sembra un saio è invece una giacca di importante fattura. Ma la giacca è stata semplicemente appoggiata sopra il corpo deposto nella bara che aveva indosso altre vesti, forse un saio».

La prima ipotesi avanzata è che sul corpo di Vico coperto dalla veste francescana sia stata appoggiata la sua giacca da professore universitario. Ma si tratta, per adesso, di una banale supposizione. Solo esami specifici potranno dare certezze: si cercherà, soprattutto, di individuare parti dei resti dalle quali estrarre il Dna. Se si riuscirà a recuperare il prezioso «codice», si potrà tentare di compararlo con il dna prelevato da oggetti personali appartenuti al filosofo e si arriverà a una determinazione certa.

Durante il sopralluogo della professoressa Torino, ai Girolamini è tornato l’architetto Spada. Ha visto la botola, avrebbe voluto entrare per vedere di persona ma non è stato possibile: «Sono certo che sia lui – ha detto con emozione – c’era tensione dopo la sua morte: professori universitari e adepti della congrega alla quale era iscritto si contendevano la sua sepoltura. C’era il timore che il corpo potesse essere trafugato, così venne spostato dal luogo nel quale venne deposto inizialmente, dove c’è ancora la lapide di marmo. È occultato qui. Senza un segno, senza un nome, per consentirgli di riposare in pace».
di Paolo Barbuto
http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=166177&sez=LASTORIA

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