Il mio amico Joe una volta ha detto: A gentleman would walk, but will never run.
C’è un decoro nel camminare che è eleganza pura, anche quando ci si trova di fronte a camminate dinoccolate, a tacchi portati male, a posture tutte sbagliate.
Un umano che cammina è bello. Egli va.
Voce del verbo andare. Ogni cammino è fatto di passi, gradini, piastrelle abitate, ostacoli, sguardi, occhiate e occhiatacce, omini colorati ai semafori, immaginazioni, conversazioni mentali, spazi altrui rispettati o schivati. Nel peggiore dei casi urtati o invasi.
Camminare  è un gesto atavico.
Ancor prima dell’uomo hanno cominciato a perfezionarlo le scimmie. E’ la cosa che sentono di fare i bambini piccoli non appena imparano a stare con la schiena dritta.
Camminare è un tempo versato consapevolmente come l’acqua, il godimento del momento presente, il respiro fresco che acciuffo nel corpo dall’aria della sera. La precisa intenzione di andare non importa dove. E’ il cane che non si decide a far pipì, ma nel frattempo mi dà l’occasione di sostare. Di abitare. Di stare. Di respirare. Di guardare.
Yusuf dice che la cosa che più gli dà fastidio sono le scarpe.
E che se potesse camminerebbe sempre senza scarpe, come faceva in Africa.
Perché con i piedi si sente il mondo.
Con i passi io il mondo lo ascolto. Non solo il mio, ma tutto.
Posso scrutare sotto i piedi la mia personale mappa del mondo e parlarne al resto del mio corpo.

Il nostro corpo comunica continuamente inviandoci segnali sotto forma di sensazioni fisiche. Ascoltare e fidarsi delle sensazioni vuol dire riconoscere al nostro corpo la capacità di inventare quella saggezza che poi appartiene solo a noi in quanto persone fisiche. Una saggezza su misura.

Camminando il nostro corpo ci mette sulle tracce di qualcosa. Cosa? Non fa niente saperlo. E’ una magia con un moto proprio. Se camminiamo rapidamente ci sembra che tantissime sensazioni e pensieri si allontanino. Magari proprio quello di cui avevamo cominciato a seguire le tracce.  Se riusciamo a rallentare, invece, quella ricerca ecco che ricomincia, e quelle stesse sensazioni e pensieri possono provare a tornare da noi.

Diamoci la possibilità di abitare davvero i nostri passi.
In senso pratico e in senso metaforico.
Camminare fa bene.
Facciamo una spesa piccola, col sacchetto di stoffa, e il telefono a casa. Camminiamo piano, all’andata e al ritorno. Tanto la spesa è piccola e la busta non è pesante. Non importa se piove. Hanno inventato l’ombrello. Mettiamo un paio di banconote piccole in tasca e magari solo la carta fedeltà del supermercato. Parliamo o sorridiamo se incontriamo qualcuno. E prendiamo giusto le chiavi di casa per tornare. Lenti. Dopo poco. A piedi.

Il brano musicale “In cammino”, così come tutte le opere de “L’escargot” si possono ascoltare e possedere.

Photo by Benjamin Lambert

Shiny Happy Counseling, rubrica mensile a cura di Antonella Petrera, counselor per Colori Vivaci Magazine.

 

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