Attenta!

Un’esclamazione e subito la nostra attenzione fiuta un pericolo, un dettaglio, una cura.
La parola attenzione deriva dal latino attentio-onis, derivazione del verbo attendo-is-attendi-attentum-attenděre. E vuol dire tante cose: osservare, avere cura, considerare, pensare, meditare, vigilare, avvertire, estendere, por mente (sì, sì, detto proprio così, porre mente, trovato sul rattoppatissimo dizionario del liceo, non è stupendo questo termine? Se riprendiamo a usarlo vi pago un gelato).
Ma perché i nostri verbi adesso sono molto più stretti? Chi ha studiato latino lo sa. I verbi larghi del latino ci hanno fatti tutti impazzire, perché volevano dire mille cose diverse. Forse che adesso le cose dicono meno cose? Uhm. Pensiamoci.

Che rapporto abbiamo noi con la nostra attenzione?
Fin da piccoli ci dicono di s t a r e  a t t e n t i.
A non cadere, alle scale, ai fornelli, alla fiamma della candela (sì, il pericolo mortale secondo mia nonna era quello di bruciarmi i capelli con la candela. Poi successe davvero ma non era proprio un pericolo mortale. Affatto piacevole, comunque, aveva ragione lei), attenti al cane. E la maestra? Quante volte ce lo ha detto la maestra? Insomma questo fatto di stare attenti sta proprio da sempre sulla bocca di tutti.
L’attenzione, però, non è una risorsa inesauribile. Non sappiamo essere attenti sempre. Non possiamo. La nostra attenzione non può essere sempre al massimo. Proprio no. Questioni di metabolismo del cervello. Per questo occorre che cominciamo a conoscerla. A relazionarci a essa consapevolmente.
Quand’è che riusciamo a essere più attenti?
Al mattino dopo il caffè?
A stomaco pieno?
Sotto stress? (Qualcuno davvero riesce a essere vigile solo così.)
Dopo una bella dormita?
Nelle ore notturne dopo che la prole sta sognando?

Ognuno di noi possiede il proprio rapporto con l’attenzione.
Ecco le nostre abitudini alleate per migliorarla:

Ridurre lo stress.
Tanto piacere. Scus, mò abbiamo detto che che c’è chi sotto stress riesce a essere più attento? Meh, intanto riduciamolo, che non fa mai male.

Meditare.
Eh, chi pratica yoga ne sa sempre una più del demonio.

Dormire bene.
Quanti di noi lo sottovalutano questo aspetto fondamentale?

Organizzare il tempo.
Sine ma con qualche strappo alla regola e qualche allegro imprevisto, se no che palle!

Fare una cosa per volta.
Questa è proprio proprio vera vera. Il nostro cervello non è l’ispettore Gadget.

No, no, mica abbiamo finito!
Premessa: l’attenzione è una risorsa limitata, dobbiamo dormire bene e abbastanza, essere organizzati, pensare bene, ecceteraeccetera.
Domanda: e lo smartphone?

STOMP! Tutti giù per terra.

Ecco, mò questi di Colori Vivaci si mettono pure loro a fare i moralisti, eccheddobbiamofare? Mica il telefono lo possiamo spegnere e buttare in un cassetto!
Ehi, frena, frena, vedi che noi di Colori Vivaci col telefono ci lavoriamo pure.
Al di là di sterili demonizzazioni occorre che ci pensiamo a quanto la velocità e la continuità delle informazioni, anche con lo scorrere verticale di uno schermo in mano, sfaccetti fino a spezzettare la nostra attenzione. E poi. Quanto, al di sotto di questo scorrere, ci arricchisce? Quanta attenzione abbiamo tolto in realtà alla lettura, alle relazioni vere, ai figli? Alla vita che non è quella virtuale?
I rischi sono alti.

Prima di tutto il rischio di vuoto.
Occhio perché il vuoto fa infelici.

Chiediamoci quali sono le cose che davvero meritano la nostra attenzione.
E quali persone. Crudele da dire? Non tutte le persone meritano la nostra attenzione. Troppo tardi. Detto. E non è crudele. Per niente.

Siccome abbiamo da sceglierci i nostri pensieri in testa come un bel vestito pulito tutte le mattine, non lasciamoci appestare dissipando l’attenzione. Viviamoli, i momenti.
Il rischio è quello di non dare attenzione più a nulla.

Photo by Matthew Hamilton 

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