«C’è una lacrima nascosta che nessuno mi sa disegnare». L’aveva intuito già Fabrizio De André, che le lacrime non sono riproducibili. Ovviamente gli scienziati lo sanno da tempo: le lacrime, ingigantite sotto le lenti di un microscopio, hanno forme mai identiche tra loro. E non solo per le diverse composizioni chimiche: più ricche di lisozima oppure più dense di prolactina. Ma per mille ragioni che sfuggono ai più e che non dipendono dalla causa scatenante o dall’identità di chi le produce.

Maurice Mikkers è un ex tecnico di laboratorio olandese appassionato di fotografia delle cose microscopiche. Mentre stava lavorando a un progetto per mostrare la cristallizzazione dei principi attivi di alcuni farmaci nel 2015, Mikkers sbatté un piede contro il tavolo della cucina nella sua casa all’Aia, nei Paesi Bassi. Il dolore improvviso fu tale da fargli lacrimare gli occhi e, visto che aveva un microscopio a portata di mano, decise di raccogliere una lacrima per osservarla e provare a farla asciugare, così da mettere in evidenza i cristalli dei suoi sali. Trovata la giusta combinazione di filtri per far risaltare al meglio le lacrime cristallizzate, Mikkers iniziò a chiedere a parenti, amici e conoscenti di fornirgli qualche lacrima per trovare le differenze. Infine, sviluppò ulteriormente l’idea trasformandola in “Imaginarium of Tears”, un progetto fotografico che lo ha tenuto impegnato nell’ultimo anno e che presto sarà pubblicato in un libro.

Fotografando centinaia di lacrime diverse, Mikkers si è reso conto che ognuna è un mondo a parte con cristalli che sembrano fiocchi di neve o minuscole felci, a seconda dei casi. Le variabili sono del resto molte: ognuno di noi produce lacrime praticamente uniche, che a loro volta sono diverse a seconda dei momenti e di ciò che le ha causate. Mikkers chiede a chi vuole farsi fotografare le lacrime di concentrarsi su un’emozione intensa, piacevole o spiacevole, e se proprio non si riesce a ottenere una lacrima, ricorre a qualche soluzione più meccanica: far tagliare una cipolla al soggetto, oppure chiedergli di strapparsi un pelo dal naso.

Mikkers ha spiegato a Quartz che il lavoro per fotografare le lacrime non è comunque semplice: la tecnica con cui le fa cristallizzare e i filtri che utilizza influiscono molto sul risultato finale. Senza questi accorgimenti, il progetto fotografico finirebbe per essere ripetitivo e la resa dipende molto dal modo in cui viene fatta evaporare ogni lacrima.

Le lacrime che si producono quando si piange per un’emozione hanno una composizione chimica diversa dagli altri tipi di lacrime, prodotte per esempio per cause esterne sull’occhio come i vapori di una cipolla. Le lacrime emozionali contengono alte dosi di ormoni prolattina, ormoni adrenocorticotropo, la leu-encefalina, il manganese e il potassio. Ancora oggi non è stata trovata una risposta definitiva su composizione, funzione e origine di questo tipo di lacrime. Per alcuni ricercatori si tratta semplicemente di una risposta al dolore provato, anche non direttamente in forma fisica, mentre per altri le lacrime emozionali servono per comunicare in modo non verbale una fase di disagio e la necessità di farsi comprendere. Altre ricerche si sono concentrate sulla produzione di ormoni durante il pianto che permette di ridurre lo stress, cosa che spiegherebbe perché di solito dopo un pianto ci si sente meglio, o meno peggio.

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