Cosa avrei dovuto dire quella sera di capodanno al tipo a tavola che non faceva che parlare dei suoi affari in Albania, di cui non fregava un cazzo a nessuno, mentre dava della cozza alla sua adorabile moglie e sguardi finto interessati dei commensali imploravano ai quadratini della tovaglia un cambio di conversazione?

Io trovo che il mestiere del fornaio sia fantastico! Parlaci di te!

Da quel momento e per mezz’ora buona si è parlato di pane, di quello che evoca, delle passioni, della tenacia, dell’alzarsi presto, dei profumi di varia natura, del fascino delle ore notturne e ad un altro tipo di moglie, quella del fornaio seduto accanto a me, per l’appunto, sono brillati gli occhi di fierezza e si è riso di più.

I miei amabili amici, che mi avevano invitata quella sera, avranno accolto il guizzo con cui glissai l’argomento “affari testosteronici” in favore di “pane & affini” con un moto di affetto, mi auguro, perdonando la curva a gomito dell’argomento.

Iniziare e sostenere una conversazione non è una cosa facile e implica molte parti di noi stessi. Quella che vuole raccontarsi, quella che vuole essere riservata, le paure sbriciolate di dire delle banalità, tutto il vaso di Pandora delle insicurezze del ‘tanto non frega niente a nessuno’, quella che davanti al profumino dell’approvazione altrui comincia ad ansimare di desiderio con i denti aguzzi, gli occhi spalancati e le mani che fanno apri – chiudi, volere, io, volere!

Quelli che di noi sono più riservati e meno spontanei spesso tendono al silenzio, all’assenso, all’acciuffare le risate che partono senza intervenire e dando troppo spesso l’occhiata di routine al telefono. Le parole sono importanti, non finiremo mai di ribadirlo, e decidere di frequentarle con pienezza è sempre un atto di coraggio.
In questa epoca il senso delle cose ci scivola via, e spesso anche quello delle conversazioni, messo  in pericolo dalle chat o dai mostriciattoli insidiosi (di nuovissima generazione) dei messaggi vocali (tuono e nitrito di cavalli con annessa scarica di pioggia improvvisa).

E poi ci sono quegli adorabili trabocchetti che tendiamo a noi stessi:

Ma sono davvero interessante?
Perché dovrei raccontare qualcosa di me?
E se pensa che voglio farmi i fatti suoi?
No, non chiedo niente.
Macchemmefrega.
Oh, ma quandarrivastapizza?

La conversazione è il primo passo nella relazione tra le persone. E se vogliamo avere delle relazioni autentiche e significative occorre mettere in conto di implicarsi in qualche modo. Implicarsi vuol dire ‘comprendere in sé’, racchiudere dentro di sé qualcosa degli altri, e lasciare che lo facciano anch’essi.

Paura, eh?

Ma via, riflettiamoci.
La conversazione è il passo base e quasi indolore delle relazioni umane. Certo ci sono diversi livelli di conversazione, parliamo di quelle della prima volta. Di quando incontriamo qualcuno di nuovo. Quando riempire l’ambiente di parole belle diventa necessario, come fare?

Iniziare!
Ed ecco qualche dritta:

prima di tutto cominciare a considerare l’opinione altrui per quello che è: un’opinione. Indolore. Decido io se e quanto può far male.

Poi esercitarsi a sospendere il giudizio.
(Lo so, lo so, non sono credibile se l’affarista dall’Albania che dava della cozza alla moglie ad un certo punto mi è sembrato un cazzone e si porta ancora sulla fronte l’etichetta che gli ho appiccicato con lo sputo quella sera: idiota. Ma che c’entra, quello era un caso estremo).
L’arte di sospendere il giudizio sugli altri e sulle storie altrui ci aiuta a vivere con più leggerezza, apertura, benevolenza. Ci aiuta a considerare le ignote storie che appartengono a chi sta di fronte a noi.

Ancora: dare spazio a parole e frasi di accoglienza, quelle che iniziano per “io sento”, “io provo”. Dire io in questo caso non ha nulla a che vedere con l’egocentrismo, ma è un racconto. Un pezzetto. Il mio innocuo pezzetto che forse andrà a convergere con quello di qualcun altro che vado conoscendo, o forse no. Non importa. Quel che importa è l’intenzione, e la presenza di questo piccolo atto di coraggio racchiuso in un pronome che in questo caso non è affatto pericoloso né narciso.

E poi quanti cenni benevoli possiamo avere nei confronti di chi si sta aprendo a noi? Assensi, sorrisi, frasi di rimando: stai dicendo che…? Quindi ti sei sentito…? Fino al “grazie per la bella serata.” O allo scambio di numeri e contatti o al “segui anche tu”.

E’ vero che la conversazione è un’arte, ma è molto più divertente e facile da apprendere di quanto si pensi. Come tante altre cose è una questione di atteggiamento. E di leggerezza.

Compiti per tutti: iniziare e sostenere una conversazione infilando nel mezzo una frase che inizia per “io sento…” (Questa l’ho rubata a Brezny, eh eh).

Photo by Elevate

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