Questa notte ho fatto un sogno.
Era una razza di sogno bastardo, di quelli che ti sgranano gli occhi nel buio.
Vivevo in una città assediata dalle bombe.
C’erano molti edifici di culto – li ricordo distintamente – e ciascuno rappresentava una diversa religione.
Tutti esibivano una bellezza semplice e disadorna, ma limpida, cristallina, bianca come la pietra.
Potevo entrare in alcuni, in altri mi era interdetto l’accesso.
Per le vie dovevo girare con un elmetto, durante gli intervalli fra un bombardamento e l’altro, per il rischio che le macerie mi franassero addosso.
Ricordo il rumore secco delle esplosioni, il terrore che non fossero lontane, come quando conti i secondi fra il lampo e il tuono per dirti che il rischio non è poi davvero elevato.

Era un sogno così vivido e solido, che quando ho riaperto gli occhi, nel buio denso della notte, mi son dovuto forzare a non richiuderli subito, a non cedere al richiamo di Morfeo che mal sopportava questo mio attimo di nebulosa sobrietà: temevo che l’incubo si riavviasse da dove l’avevo lasciato, come un video messo in pausa.

Stamattina ho pensato: meno male che son riuscito a scacciarlo.
Meno male, aggiungo ora, che posso dileguare la trappola mortale delle bombe semplicemente cercando di non ricadere nel sogno.
Non tutti hanno questa fortuna.

Testo di Manlio Ranieri

Foto di Raimond Klavins su Unsplash

Un sogno by Manlio Ranieri is licensed under CC BY-NC 4.0

 

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