Da un paio di settimane leggo, approfondisco, cerco di capire. Non è facile, e ogni passo in più che muovo dentro a questo conflitto, mi rendo conto di quanto poco sappiamo di quel che succede nel mondo.
Di fatto, il punto è che più di tutto vorrei scriverne, esprimere quello che sento, spiegare al mondo le mie paure, le mie sensazioni, la mia solidarietà apparente, ma l’impresa mi sembra impossibile: qualsiasi parola è vuota, inutile, forse persino ridicola, sembra un pontificare sterile da uno scranno dorato.
Ieri ho capito che l’unico modo per allacciarsi al mondo è farlo dal proprio piccolo, e l’ho capito in un modo che, a prima vista, potrebbe sembrare ridicolo – forse lo è – ma ha rappresentato comunque una rivelazione.

Vado con ordine: io seguo il basket, è il mio sport preferito, sia da praticare che da vedere. Come sempre, per una sorta di campanilismo che rimane solo orgoglio di appartenenza alle mie radici, senza mai sfociare in insulse inimicizie o scontri col “vicino”, ho scelto di non tifare per una delle squadre più blasonate e vincenti, bensì di supportare una realtà che mi fosse vicina territorialmente – non foss’altro per la possibilità di andarla a veder giocare dal vivo una volta in più. Insomma: nel campionato italiano, io, tifo per Brindisi, che è una società che da anni milita nel massimo campionato, con risultati eccellenti, pur non potendo di certo vantare i budget milionari di Milano e Bologna. L’anno scorso Brindisi ha avuto un’annata particolarmente buona, terminando il campionato al secondo posto in serie A, e fra i protagonisti indiscussi c’era un giocatore americano, un certo D’Angelo Harrison. Alla fine del campionato, Harrison ha avuto un contratto milionario da una squadra più ricca e noi tifosi pugliesi siamo stati costretti, a malincuore, a vederlo andar via. Perché racconto tutto questo?
Ecco: l’americano, durante la scorsa estate, è stato ingaggiato da una squadra ucraina. E qui c’è il primo punto: io ho continuato a seguirlo su Instagram, e spesso lo vedevo taggato in post incomprensibili in alfabeto cirillico. In realtà ho smesso un po’ di seguire le sue vicende sportive, pur gettando di tanto in tanto un occhio al suo profilo social, non senza una punta di nostalgia. Insomma: non ricordavo neanche in che nazione fosse andato a giocare. Se qualcuno me l’avesse chiesto una settimana fa, avrei risposto con un franco “boh!” Bielorussia? No, forse Georgia. Sì, dev’essere la Georgia. Tanto per capirci: la lingua della Georgia non usa neanche l’alfabeto cirillico, l’ho appena scoperto. E no: la Georgia non è – non soltanto, almeno – uno degli stati degli USA. Cosa voglio dire con tutto questo? Che noi europei, in realtà, dei popoli che si trovano al nostro confine orientale, sappiamo davvero poco. Quasi niente.
Eppure io conoscevo da qualche anno le vicende del Donbass e della Crimea, le avevo seguite grazie alle parole del mio amico giornalista Luca Pistone, che da quelle parti c’è stato davvero, e durante la fase più aspra del conflitto: ha parlato coi guerriglieri, vissuto con loro, e io ho letto il suo ottimo reportage, tempo addietro. Dunque non ignoravo del tutto la situazione esplosiva che c’era in quella zona. Ma, mi rendo conto ogni giorno di più, continuo a non sapere niente dell’incredibile sfaccettatura di culture, ideologie, identità che si annidano fra quei confini, che fioriscono ai margini di quello che, di fatto, è il continente a cui appartengo. Quando capisci quanto complesso sia il mondo al di fuori del tuo orticello ordinato, comprendi immediatamente anche un’altra cosa: prendere posizione, da ignorante, è un azzardo stupido e molto, molto pretenzioso. E allora, in quei casi, non ti resta che aggrapparti alle tue certezze inossidabili, per trovare la bussola: a difendere – sempre – la pace e la democrazia, difficilmente si sbaglia.

Ieri sera, mentre leggevo della squadra Ucraina di Harrison, che in un comunicato stampa ha annunciato di rinunciare a portare a termine il campionato e la stagione di Champions league – nella quale aveva, fin qui, compiuto un percorso eccezionale, arrivando ad essere additata fra le favorite al titolo – ho pensato: è un’ingiustizia. Come se tutto il resto non lo fosse. Come se essere attaccati entro i propri confini non lo sia mille volte di più (nel breve messaggio, il presidente del BC Prometey di Kamianske ha detto di sciogliere tutte le squadre della società, per quest’anno, perché tutte le energie e le risorse del paese, in questo momento, devono essere impiegate per fronteggiare l’invasore). Ma spesso noi, per renderci conto di qualcosa di macroscopico che accade lontano dai nostri culi comodi, abbiamo bisogno di un appiglio che faccia parte della nostra realtà: che sia il prezzo della benzina che schizza in alto, o un tuo idolo sportivo che è costretto a rinunciare alla corsa al titolo.

In realtà ci sono state tante altre cose che mi hanno colpito, come il racconto di un’amica che ha, più o meno involontariamente, origliato una conversazione telefonica di un ragazzo dalle origini ucraine. Me è sempre questo il punto: perché qualcosa ci smuova davvero, deve avvenirci accanto. Non basta leggere, informarsi diverse ore al giorno: ciò che si apprende dai giornali fa quasi parte di un altro mondo, a meno che il giornalista non sia un tuo amico, come nel caso di Luca.
Insomma: tutto questo mi ha fatto capire quanto poco siamo davvero cosmopoliti, anche se oggi basta saltare su un Ryanair, un Wizzair o, ancor meglio, un volo intercontinentale per ritrovarti a visitare un paese lontano e poter affermare: so come vanno le cose nel mondo. No, non lo sappiamo.

Manlio Ranieri

La foto di copertina è quella con cui, su Instagram, il BC Prometey ha accompagnato il comunicato stampa in cui annunciava il ritiro

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