L’anima gemella è un film di Sergio Rubini del 2002; ha come oggetto il “cambiamento”, o meglio, lo scambio di corpo tra due giovani innamorate dello stesso uomo. Il primo film di Sergio Rubini che ho avuto modo di vedere, restando soddisfatto della storia in sé, della fotografia magistrale (l’uso di colori forti come il rosso, il verde, il rosa su uno sfondo che li fa dominare, e questo dominio salta all’occhio, rendendo più amabile e estetico l’interno provinciale di un paese pugliese, creando un classico contrasto tra le pietre della Puglia e un elemento vitale che gravita su di esse, partecipando del presente, vivificando la volgarità dell’ambiente dei piccoli centri, delle preghiere in Chiesa, come in una foto di Franco Fontana o nei magnifiques couleurs di John Batho, nei quali artisti la fotografia minimale descrive la vita che contrasta la morte, nei rossi accesi e in tutto ciò che nel campo cromatico di una fotografia, porta gioia inusuale, acqua per un deserto senza vita o bellezza.

La fotografia di L’anima gemella, è avanti rispetto agli anni; un film del 2002, che nella scelta delle inquadrature e delle musiche che le inseguono, parla già di decenni successivi, e in questa sua sfida, mi piace e deve piacere, il cinema autentico, come la musica, aveva nervo fino a un po’ di anni fa, quanto più il mondo esterno diviene complesso, quanto più gli stimoli della città moderna (Walter Benjamin) rendono l’uomo nevrastenico e sovraeccitato, quanto più i suoi prodotti, che affondano le radici in quell’inconscio sociale (Bachtin) divengono sterili e privi di autentica vena produttiva e innovativa.

Del resto si ha qualcosa da dire,  quando c’è un retroterra culturale che ci permette di proferire parola, una parola che sia davvero innovativa e portatrice di valore. Vivere in un mondo pieno di oggetti, che lacerano la nostra percezione senza ordine alcuno di tempo o di spazio, rende la mente molle, incapace di intendere e di volere, obbediente all’ultimo sultano che è la riproducibilità (Benjamin) e l’assenza di pause tra uno stimolo culturale e l’altro.

Non è grettezza o ignoranza quella che mi fa preferire quasi sempre film o musiche che finiscono di essere belle fino ad almeno dieci anni fa, è un esempio di similis cum similibus, evidentemente il mio spazio psichico, come ogni persona normale, coincide necessariamente con il colori accesi ma non ancora violenti come quelli del duemiladiciassette, con le atmosfere calme e rilassante, contornate da una fotografia benpensante come il Verdone di Al Lupo al Lupo (1992) con Sergio Rubini, nei panni di Vanni, il figlio giusto della famiglia, dedito allo studio del pianoforte, paurosamente represso, poi il suo appello sarà “Me fai scopà?”, su questo tornerò dopo.

Il mondo esterno che era chiaro e limpido, nei testi di Luigi Tenco o nella fronte ampia e pulita di Vittorio de Sica, nel tempo diviene gratuito, oggetto di noia, da superarsi tramite un nuovo regalo dell’industria culturale.

Perché dei filosofi hanno parlato di Industria culturale? Perché come in una catena di montaggio viene offerto continuamente un prodotto in serie, velocemente, senza dolore e senza attesa, così la cultura di ogni tipo, diviene facilmente fruibile, da tutti, tutto e subito, senza criterio e senza gusto per l’attesa.

La modernità che già Baudelaire offendeva nel Cigno, contrasto perfetto tra la Parigi moderna e il poeta ultra-materiale, è poi diventata contemporaneità, tanto da poter essere addirittura superata nel non-sense del post-moderno.

Bisognerebbe tornare indietro di qualche decennio per disifenttare i nostri sensi rovinati dal dominio della tecnologia, da quella macchina che avrebbe dovuto liberarci (la ragione della dialettica dell’illuminismo) ed invece siamo noi ad esserne dipendenti, in maniera inconsapevole per la maggiore di quella legione di imbecilli (Umberto Eco) che ogni giorno costantemente pubblicano frammenti di vita filtrata, rendendo per l’etimo del termine, “pubblico” il privato, non avendo coscienza del fatto che il privato è già in sé prefiltrato, pregiudicato da questa la metto come profilo o che cosa stai pensando? o fai gli auguri a .. oggi è il suo compleanno! La rete pregiudica il privato alimentando quella divisione che Bachtin evidenziò nella scissione dicotomica tra pubblico e privato, tra l’uomo agreste e l’uomo moderno, la doppia coscienza che l’uomo del duemiladiciassette immediatamente applica (come una categoria invariabile dello spirito) ogni qual volta vive su un mezzo telematico e aderisce pefettamente alle regole di esso. Risulta ridicolo, e per Riso una volta si intendeva ciò che va contro la struttura naturale dell’uomo (Bergson), chi non ha un dispositivo mobile intelligente (smartphone), risulta ridicolo chi non usa i consueti programmi di messaggeria instantanea (facebook, whatsapp), chi è fuori dal mondo. La rete nacque come strumento per avvicinare degli individui a grande distanza, come il telegrafo, eppure basta guardare un momento tipico di scena quotidiana tra ragazzi, li vedremo in fila tra loro vicini e irraggiungibili (direbbe Lucio Battisti) persi nei loro giochi violenti e nella foga dell’aggiornamento costante, delle applicazioni pìù nuove (seppure spesso completamente inutili) dei sistemi operativi più all’avanguardia, offendendo così le intenzioni originarie di chi ha inventato il computer, quello della Macchina di Turing, gioielli dell’innovazione tecnologica in mano di imbecilli irresponsabili, privi di autentici sentimenti umani e di senso civico, schiavi della scissione dell’uomo moderno e incapaci di vedere quest ultima, tanto è il loro cevello imbrattato di schifo e di non-sense.

Internet è un mezzo potentissimo ed utile per svariate professioni, ma se provassimo ad abolire quella dipendenza dovuta e obbligatoria ci troveremmo in quell’uno-tutto di matrice romantica (Holderlin ad esempio) che la natura ci offre, dopo la sua invenzione idealistica, e dopo la corruzzione e la complessità dello sguardo dell’uomo, comunque, moderno, anzi post-moderno.

Il filo logico che mi ha portato a parlare della rete e dei suoi poco svegli abitanti, era quello che dal film L’anima Gemella, mi ha portato a parlarne prima di tutto della fotografia buonissima (non eccellente, pensiamo come esempio superiore Film d’Amore e d’Anarchia, nella maison il bello cinereo della Melato si adatta esteticamente alle maioliche e ai colori di un vissuto cinematografico di per sé ultra-provinciale) del mondo che essa si proponeva di imitare e della percezione che in esso viveva e comprendeva.

Per questo la considerazione sull’eccesso di oggetti del mondo esterno, sull’arte che da esso deriva (come l’insignificante arte contemporanea) sulla musica, sul cinema e sulle persone deviate dall’industria culturale. La considerazione poi su internet, sulla presenza di massa di stimoli culturali, sugli individudi incapaci di distinguere il vero dal falso, tanto sono immersi e dipendenti da questo mostro sacro e di conseguenza la scarsa capacità estetica (onorando Schiller e le sue lettere sull’educazione estetica) che li porta ad apprezzare filmacci violenti, saghe di mostri e robobt inspide, film sull’amore che non dicono niente e non hanno nervo come un protagonista di un’era antecedente quella degli smartphone, di internet e della mancanza di stimoli in massa, quasi sempre deleteri per la mente.

La corruzione dell’industria culturale, agisce ancora meglio su chi, molto debole, prende dalle mode, tutto ciò che si deve prendere, agendo immediatamente, senza, seguendo l’etimo latino del termine, la mediazione, della razionalità salvifica. Così questa struttura psichica fatta di così si dice, così si fa, così fan tutti, abolisce il libero arbitrio e vive indefessamente gli ordini della rete o del mondo che lo circonda. Figurarsi se poi un tale individuo sarà capace di senso estetico e di limitarsi ai prodotti cinematografici del passato, tanto è immerso nei prodotti della rete e delle mode che essa produce.

Quanti che ne sono che pur odiando o non capendo i prodotti cinematografici o musicali del presente, comunque si mostrano interessati ad essi, per non cadere ne limbo della dissociazione o nell’essere all’antica.

Non c’è più quel nervo del cinema o della musica, pensiamo a quell’elettronica pura e netta, come gli occhi di Bowie e Brian Eno mentre registravano a Berlino e ci regalavano autentiche opere d’arte come The secret life of arabia (Heroes, 1977) o Warsawa (Low, 1977), quest ultimo soprattutto  figlio di quella visione di fine anni settanta, che abbandonava i miti di ribellione degli anni settanta, e, con il taglio dei capelloni, apriva la strada alla freddezza elettronica degli 80’s, con il dominio in essi dei primi personal computer e dell’estetismo (Simple Minds, The Cure) di un era che capi che come disse bene Oscar Wilde, la sostanza è nella forma.

Lasciando in pace il duca bianco, l’ho preso solo come esempio di un soggetto capace di una visione chiara, qualcosa da dire rispetto ai molli artisti del duemiladiciassette, bravi sicuramente ad acconciarsi, ad avere dei bei capelli ingelatinati (tagli che poi ricordano in maniera ridicola dei tagli anni ottanta con la chioma e le parti laterali rasate) oppure delle barbone che ricordano i vari Venditi o De Gregori dei bei tempi, la differenza è che loro avevano nervo, e vissero davvero i tempi delle rivolte studentesche, come il primo album che li ha visti entrambi protagonisti, vissero quei tempi e cercarono, solidamente di cambiare lo status quo, ora chi uscirebbe con il pianoforte in mano o chi ha bruciato la sua laurea vive solo di parole (Nati sotto il segno dei pesci, Venditti, 1977). Siamo ciò in cui viviamo e la sovraeccitazione sensoriale ci ha resi molli e incapaci di dire cose autentiche, vere, innovative, non abbiamo nervo, siamo vili e privi di un nucleo caldo.

Parliamo del film. L’anima gemella è un film sul rapporto tra esterno ed interno in una donna, un film su concreto e reale (come dice ad un certo punto un pugliesissimo Sergio Rubini “a ess concret in ta la vit, real!” rivolgendosi al mozzo del suo salone di Barbiere, con tanto di scritta chiara ed essenziale che risalta su un contorno, afoso, estivo e pienamente provinciale) del resto Rubini nel film, come forse nella vita, è un barbiere che vive nel concreto e ha messo da parte il suo passato anti-concreto, infatti dopo il rapimento della Violante Placido, quella per cui Tonino, lascia sull’altare la sua futura moglia, un’arrogante, aggressiva, eppure ricca figlia di un comerciante pugliese di pesce (da qui l’altro contrasto tra reale e concreto, tra ciò che serve nella vita, tra una sicurezza nel tempo e un lampo momentaneo della Violante Placido, bellissima; la sua rivale più volte mette in risalto la poca potenza economica della bella e immobile, “quella è solo bella, e così può ottenere tutto!” “getta via quella collana tanto era solo di plastica” “siete soltanto dei poveracci, io vi offro cinquanta milioni, la prima sposa di Tonino rappresenta il concreto, Violante Placido la bella immobile, bella anche se povera e inutile, il ruolo superiore della bellezza sopra il concreto e il brutto) il concreto è rappresentato anche dal passato di Sergio Rubini, che nel film è un ex-musicista, “da giovane mi piaceva il rock, avevo un complesso”, e inizia a suonare una batteria impolverata, davanti a la bella-povera-immobile Violante, che d’un tratto inizia a mangiare, portata ad un livello ultra-materiale da Tonino e da i suoi desideri non concreti del passato.

La prima sposa di Tonino, lasciata sull’altare, perché quest ultimo è in connubio totale con la Violante dolce e sensibile, decide allora di riavere il suo futuro marito, prendendo l’aspetto fisico di Violante, si reincarna in Violante, è perfettamente identica a lei, ma il nocciolo è sempre quello di una donna aggressiva, prepotente, con assenza di senso estetico, materiale (non sensuale).

Tornata così a nuova vita, grazie all’incantesimo di una megera pugliese, madre di Sergio Rubini, ottiene nuovamente il suo tonino, ma il corpo gemello, non sarà l’anima gemella, così presto Tonino se ne accorge e comincia a nutrire ragionevoli sospetti.

Anche Violante, disperata, decide di cambiare i suoi connotati, diventa la prima sposa di Tonino, riesce a far si che Tonino abbia via libera nel matrimonio con la finta Violante, ma dei particolari, l’attenzione inusuale per un paesaggio, riportano tonino alla sua vera anima gemella, che pur brutta è vivificata da un principio vitale diverso, quello del bello e della giustezza morale.

Giovanni Sacchitelli

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