Al termine dell’anteprima mondiale per il Bif&st, fuori dal Teatro Piccinni di Bari, c’erano i produttori e gli attori del film.
Avrei voluto approfittare dell’occasione per scambiare opinioni con loro, forse anche soltanto per complimentarmi, ma non ce l’ho fatta: avevo ancora bisogno di assorbire le emozioni, metabolizzare le immagini, ricostruire la trama e le relative impressioni.

Vetro è un film che colpisce allo stomaco, una storia dura, ma necessaria. Se a qualcuno l’escalation paranoica che la sceneggiatura ha nell’evolversi sembra un po’ eccessiva, vuol dire che potrebbe non aver mai fatto i conti con la realtà. Purtroppo certe dinamiche di isolamento, misantropia e relative ossessioni esistono, sono reali e conviene cominciare a farci i conti prima che si arrivi all’irreparabile a cui la pellicola sembra spingerci, forse in maniera apparentemente forzata.
La progressione delle emozioni parte persino con una certa dolcezza, ma presto si capisce che anche questa cela un rischio, ed è il rischio nascosto dietro tutte le emozioni filtrate da una patina virtuale – o addirittura, come nel caso del film, da una barriera fisica. Quando puoi chiudere bruscamente una conversazione se non sta procedendo secondo il copione che avevi in testa, la realtà dei rapporti si sfalda: la persona che hai accanto o di fronte diventa una tua proiezione mentale, e quanto di buono o cattivo ci vedi è più probabilmente uno specchio della tua anima.

Vetro è un film vero, bello, non facile ma sicuramente da vedere; giova di una regia e una fotografia che fanno di un set minimale un microcosmo pieno di dettagli accattivanti e di un’interpretazione eccellente da parte della giovanissima Carolina Sala.

Manlio Ranieri

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