Siamo tutti lì a comprarci televisori full HD a rate che non possiamo permetterci (le rate, intendo, figurarsi la TV!), a pagarci gli abbonamenti a Sky con i soldi della cassa integrazione.

Però poi evitiamo di mangiare pesce perché “ci fa impressione” pensare che potrebbero essersi cibati dei cadaveri del canale di Sicilia. Non ci preoccupiamo mai, invece, di non mangiare i pomodori coltivati dagli schiavi di Capitanata. Né ci facciamo alcuna domanda sui metodi intensivi di allevamento degli animali da macello.

Ci vedo qualche sorta di stortura in questo.

Lo so, anche in Italia ci sono tanti poveri, ma poveri davvero.

Lo so, tante famiglie fanno molta fatica ad arrivare a fine mese.

Però non chiedetemi più di lottare, di alzare la voce, di manifestare per gli italiani.

Non finché non avremo imparato ad essere più equilibrati e meno egoisti, finché non inizieremo a guardare oltre il mediterraneo.

Ci scagliamo quotidianamente contro i nostri politici, contro tutti i loro privilegi, però se poi qualcuno ci regala un biglietto di tribuna per lo stadio o un posto di lavoro di due settimane per nostro figlio non ci stiamo mai a chiedere se sia giusto accettarlo.

Io sono il primo a soprassedere su certe cose, a volte; me ne rendo conto, e per questo motivo cerco di guardarmi bene dal fare prediche moraliste: questo post non vuole essere tale. Ripeto: non vuol essere una ramanzina sterile.

Però ogni tanto nel mio cervello risuona un campanello di allarme, e allora mi piace condividerlo con chi ha voglia di parlarne.

 

Siamo sicuri che il nostro livello di consumi sia sostenibile? Parla uno che, in famiglia, conta 4 PC, un tablet e 2 smartphone, e non saprebbe farne a meno. Sempre per ribadire che non voglio fare sermoni ipocriti.

Però vorrei rifletterne insieme a voi.

Lungi da me, del resto, voler fare come quell’odioso nostro ex-presidente del consiglio che, nel bel mezzo dell’esplosione della crisi, si affannava a negarla adducendo come prove l’affollamento dei ristoranti e dei voli low-cost.

La crisi esiste e dobbiamo imparare a conviverci, a parlare la sua lingua.

Ma la crisi si combatte anche rinegoziando i criteri di essenzialità di ciò che siamo abituati a  considerare come bene irrinunciabile. E per farlo dobbiamo imparare a guardare oltre la staccionata del nostro piccolo recinto, perché i mercati sono tutt’altro che “locali”.

La crisi si combatte cercando di non arrendersi ai mercati e alle loro logiche, che ci vorrebbero consumatori fin oltre le nostre reali possibilità. I mercati bisogna affrontarli di petto, imparando a dire di no, a misurarci con loro usando il raziocinio e le giuste unità di misura.

 

Proprio oggi mi è capitato sotto gli occhi un articolo in cui si parla delle condizioni di lavoro nei campi di raccolta dei pomodori.

Sono passati circa dieci anni dalla prima denuncia in tal senso, e l’articolo di oggi sembrava identico a quello di allora.

Certo, a tutti noi fa comodo pagare un bene alimentare “povero” come il pomodoro una quindicina di centesimi in meno al chilogrammo.

O risparmiare un quarto di euro su una confezione di caffè, bene imprescindibile per la maggior parte degli italiani (me compreso!)

Ma se in dieci anni di indignazioni passeggere, di voci che parlavano di “schiavismo”, di sfruttamento selvaggio, nessuno ha mosso un dito per migliorare le condizioni di lavoro di questa gente, allora vuol dire che quei quindici centesimi in più sarebbe bene pagarli, evidentemente, perché altrimenti non si uscirà mai da questo circolo vizioso. E chissà, magari se noi accettassimo di far fronte a questo aumento, ad esempio rinunciando a cambiarci, a fine anno, l’iphone da 5 in 5s forse nei campi si ristabilirebbero delle condizioni di lavoro più ragionevoli; e forse qualcuno dei nostri nipoti potrebbe ritenere accettabile tornarci a lavorare. Perché se lo facevano i nostri nonni, senza battere ciglio, e sfamavano famiglie con 4 figli, non è detto che avessero tutti i torti.

Non pretendo ragione. So che avrò infarcito, mio malgrado, questo breve post di decine di controsensi.

Ma discutiamone, e non saranno parole sprecate. E l’energia (non rinnovabile) che avrò consumato per riempire questa pagina di word non sarà stata bruciata invano.

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