“Non so se hai presente una puttana ottimista e di sinistra”.
Lucio Dalla ne incontrò una alle tre del mattino, uscendo da una trattoria della Cirenaica, zona di case popolari basse e rosse, uguali a quella di Francesco Guccini in via Paolo Fabbri. Così nacque “Disperato erotico stomp”, canzone osannata e contestata.
Anno 1977, Trattoria da Vito, via Musolesi. Che sia andata davvero così non è certo. Se lo chiedete a quattro amici di Lucio, vi daranno quattro versioni diverse. Non sarebbero neanche tante se a Bologna gli amici di Dalla, veri o presunti, non fossero numerosi come i followers di Chiara Ferragni, o come i giornalisti che si dichiarano allievi di Montanelli. Di sicuro, anche grazie a Dalla e Guccini quella trattoria è diventata un monumento, una Lourdes per vecchi nostalgici e per adoranti ragazzini in gita.
Ma che cosa c’entra Vito con la cucina bolognese e con la sua grande storia? Il pollo alla cacciatora e le tagliatelle al ragù hanno avuto qualche stagione perfino discreta, ma su certi passatelli e su molto altro è meglio sorvolare. Eppure Vito c’entra. C’entrano tutti i locali a chiusura variabile tra la mezzanotte e le cinque del mattino, perché da queste parti il cibo ha molto a che vedere con lo stare insieme, col cazzeggio senza orari, col pane salame e chitarra a oltranza, col tirare tardi accanto a facce conosciute da una vita o da un minuto.
Di Vito si sa già tutto. L’odore di vino e di brodo. La chitarra di Guccini che qui conobbe la moglie Raffaella, ma anche quelle di Flaco e di Jimmy Villotti. Il tarocchino bolognese si giocava fino all’alba a serranda abbassata, sotto l’occhio vigile del maestro Giulio Predieri, unico giornalista al mondo che si imbufalì quando il suo direttore lo fece lavorare di giorno anziché di sera. Lui di giorno doveva dormire, altro che Carlino, e la sua sera cominciava quando le luci del giornale si spegnevano.
Si sa già tutto del fondatore, Vito Pagani, bolognese di Monterenzio, il Comandante. Alla Cirenaica arrivò nel 1949 da via Galliera e c’è rimasto quasi cinquant’anni, adorato da tutti: Ron e Mingardi, Gaber e Fo, Troisi, Giorgio Comaschi, Paolo Mengoli, Gianni Morandi, Luca Carboni. Da Genova arrivava Fabrizio De André, non sempre sobrio. Paolo, figlio e grande continuatore di Vito, lo racconta così: “Una sera Fabrizio si fa incartare un pollo arrosto in una stagnola, saluta, sale in macchina e si avvia verso Genova. Dopo un po’ ci telefona uno che dice: guardi, c’è un tizio addormentato in una Citroen Ds sul bordo della strada. Sul sedile ha un sacchetto con scritto Trattoria Vito, lo conoscete? Ce l’hanno riportato. Aveva fatto neanche due chilometri”.
Bonvi era un fedelissimo. Un vulcano di ironia e di storie surreali. Si arrabbiò solo una volta, quando lo chiusero in trattoria per una notte intera. Nessuno, al momento di abbassare la serranda, si era accorto che in cucina c’era un cliente biondo che stava dormendo sdraiato su tre sedie allineate. Nella stessa cucina nacque Banana Republic, splendido incontro fra Dalla e Francesco De Gregori. Fotogrammi infiniti. Vasco Rossi diciannovenne, timido in un angolo. Giancarlo Mandrioli, il disc jockey Mandrillo, si vedeva solo ogni tanto, perché aveva da fare al Ciak. Incise un 45 giri in cui Vasco era tra i coristi. Poi però uscì ‘Albachiara’ e il rocker di Zocca decollò.
Da Vito si è visto di tutto. Nomi famosi e timidi studentelli, poeti della Beat generation e qualche terrorista di passaggio. Ma anche personaggi ignoti e notevoli. Romano, cameriere creativo, portava le mezze porzioni in piatti spaccati a metà e quando un cliente gli spiegò che dal tetto della veranda pioveva sui tortellini, gli portò un ombrello. Le notti, lunghe e mai silenziose, hanno sempre acceso qualche battibecco con i vicini dei piani di sopra. “Però – spiega Paolo – di gavettoni ne abbiamo avuto uno solo in tanti anni. C’erano sotto Arbore, la Melato e Dalla”.
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Da ‘Qui era tutta lasagna’, Minerva Edizioni, 2020

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