Alle 5:45 la luna era un enorme globo giallo pieno di rughe sul pinnacolo della cattedrale – le rughe che raccontano storie, come quelle di certi pescatori dalla pelle arsa dal sole. Il campanile la indicava come il dito che lo stolto dovrebbe guardare, secondo un detto da attribuire non si sa bene a chi. Io ho guardato lei, invece, sua maestà palla gialla, ma non mi sono fermato per fotografarla perché non avevo il cavalletto e perché avevo un appuntamento. O forse solo perché sto invecchiando, e montare il teleobiettivo per un tentativo di doppia esposizione senza l’attrezzatura adatta è un’impresa persa in partenza, di quelle possibili solo prima della saggezza.

Poi c’è stata l’alba – ma solo dopo un bel po’ di strada – le cime innevate, l’inverno in tutto il suo accecante splendore di quando si mette d’accordo col sole e decide di provare ad essere clemente.
Di domenica mattina, comunque, la sveglia alle 5 richiede una certa dose di determinazione e perseveranza.

Perché io e l’inverno siamo un po’ così, come quei vicini di casa che si guardano in cagnesco ma poi, alla fine, con saggezza si fanno due conti e si dicono che non ci possono far niente, il dirimpettaio non te lo scegli e, in un modo o nell’altro, devi fare lo sforzo di conviverci pacificamente, e così una volta ogni tanto lo inviti pure a cena e scopri che, suvvia, la serata non è andata poi così male.
Ma per poter fare questa scoperta, inverno, devo incontrarti là dove ti metti il vestito d’aria e te lo fai lavare dal sole, giammai fra quattro barriere asettiche di mattoni col calore artificiale, il video del caminetto in HD su maxi-schermo, e il divano che se non stai attento ti divora l’anima. Sei freddo, inverno? Bene: mi sveglio all’alba e ti vengo a trovare laddove lo sei davvero. Lì darai il meglio di te, non sarai costretto in una calzamaglia contenitiva di tubi e termosifoni, e mi farai gli onori di casa con la poesia degli alberi spogli come capelli a spazzola sulla tua testa antica.

Poi, sulla via del ritorno, la luna – di nuovo giovane – farà capolino fra una cresta di monte e l’altra, a dominare un borgo antico di pietra come quelli che non si usano più, e io dedicherò questo agnello sacrificale all’amore mio che oggi era altrove perché so che, se ci fosse stata, avremmo urlato insieme di quella meraviglia bambina che solo noi sappiamo.

Testo e fotografia di Manlio Ranieri

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