La piccola casupola di mattoni si trovava a metà di una ripida salita, la stessa che prima avevano percorso in una discesa a folle verso la strada principale.

La via trafficata li avrebbe condotti in quel dedalo di viuzze del centro storico di Vasto che di tanto in tanto, offrivano la vista di palazzi e palazzotti antichi, alcuni tenuti in piedi dai sostegni in ferro che ne impedivano il collasso. Ella si guardava intorno com’era solita fare in un luogo che non avesse mai visto, cercando di scrutare i particolari di una facciata, di un portale, di inspirare profondamente gli odori della città o seguire le ramificazioni dell’edera che sembrava offrire linfa vitale a quelle case illuminate all’interno, come se fossero state un embrione dentro il quale la vita scorreva tranquilla. L’arteria secondaria ospitante il fabbricato mezzo diroccato, era buio ma non meno popolato di persone che rincasavano dal Siren Festival. In quella quiete i due si scambiavano impressioni entusiastiche sul concerto. “Scatta una foto” gli disse lei ad un tratto in un sibilo, poiché il fiatone le aveva strozzato e stimbrato la voce. Assecondando la sua richiesta lui le chiese pure il significato di quella scritta in corsivo, fatta con lo spray da un anonimo poeta metropolitano. “Vedo umani ma non l’umanità” gli rispose alzando le spalle, come a volersi scrollare di dosso quel piccolo momento di triste rassegnazione.

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