L’hai pure avuto un piccolo assaggio tu, cara Bisanzio. Anche se poi sei tornata a casa e non hai dovuto stendere i panni o ricordarti di aprire il libro a pagina diciassette. O forse si, in qualche riga di quel passato che ti ha fatta essere più cattiva di me. Non qui, nell’altrove verde. Chissà di che sfumatura è il tuo. Mi hai preso a schiaffi solo in qualche rara occasione.  Questo verde che ritorna tormentandomi. Lo sapevi, una volta. Sapevi tutto del verde, delle stanze e delle gambe senza riposo. Hai affilato le tue spade sugli stipiti di quelle porte, di quelle paure. Le mie stanze. E poi le ho sentite dentro, da parte a parte. Le tue spade. Sono così solo accanto a te. Da sempre solo. Tu non lo eri allora e non lo sei adesso. Sola. Anche se hai sempre sofferto la solitudine come le sbavature sui fogli, le strade alternative e la spesa al discount. E usi gli altri per sentirti meno sola, che siano spalle però. Mai a toglierti un solo millimetro di proiettore. Ho pensato tante volte che la tua stupidità è una scelta stupida. Non so quanto il tuo calesse sia arrivato lontano; il mio mustang  è sempre  selvaggio e  corre  verso tutti i prati, nell’erba medica e sulle rocce. Corre e corre. Non fa altro che correre. A volte i nostri cavalli s’incrociano sbuffando. Il mio è sempre spettinato.  Chissà forse domani comprerò una panda verde nuova di zecca. A rate. O l’ennesima bicicletta da scartavetrare e ridipingere. Le donne  dicono che ho le mani buone. Come se importasse, senza conto corrente. Ce ne sono mille di te. E di me. Continuo a corteggiare gli artisti e alcuni sono veramente stronzi. E allora penso di ingrandire il mio nome. In modo che la smettano di tirarsela come ragazzine viziate. Anche di loro ce ne sono mille. O forse di più. L’umiltà: questa sconosciuta. Un giorno la presenterò anche a te. E ti costringerò a leggere i miei libri. Quando saranno di qualità e mi sarò sciolto dietro le scie chimiche, l’impasse linguistico, tutti gli eccessi della giovinezza. Ieri una ragazza bellissima con un vestito di seta verde : Tu sei Ester? E io: si, sono Ester. E non è vero. Non ancora. Lo sarà forse, un giorno. La mia seconda “E”, ma questo l’avrai dimenticato. Non hai mai avuto una buona memoria per le storie degli altri. Ora hai altro a cui pensare, anche se sono stato sempre io quello forte. Con i coglioni duri e l’oltre sottobraccio. Eppure guardami: pieno di vuoti e desideri e senza più quel modo orrendo di amare.  Sono stanco sai? E felicissimo. L’ho capito che non sei tu Margherita. Sai cosa mi aveva illuso? I tuoi capelli. I tuoi maledetti capelli. E anche un po’ le sopracciglia. E gli occhi il culo le ginocchia. Che oscenità. Però ho sognato di farti conoscere mio figlio. Un figlio solo mio. Lo prendevo e te lo mettevo in braccio. L’unico modo per farti stare zitta. E lui allungava le manine per tirarti i capelli.  Sei sempre stata gelosa dei tuoi capelli. Ma nel sogno, quella volta, non facevi che sorridere.  E vorrò farti capire tante cose. Qualcuna è arrivata e sono contento. Anche se è sempre un boomerang vederti tra la gente. Riesco nei margini, come gli scarabocchi. Tu sei per i fogli a quadretti. Chissà chi sarà più felice alla fine, cara Bisanzio. Magari comprerò dei bei vestiti un giorno. Te lo immagini? E non ai mercatini. Magari nei negozi che piacciono a te. E la smetterò di usare il bagnoschiuma come shampoo e detergente intimo e sapone e tutto. E il dentifricio bianco che ti fa schifo.  Ma ci pensi?  Non sarei più io forse. Ho cambiato faccia e vestito così tante volte che non m’importa. Chissà se a qualcuno  importerà mai veramente. Certo tu su certe cose mi avresti rifatto da zero. Un po’ soffrivo di questo. Però ti ho sempre sempre fatta ridere. C’è adesso qualcuno che ti fa ridere così? Spero di si e spero di no.  Perché un po’ te lo meriti, ma soprattutto no.  E invece te lo auguro. Perché in fondo sono un bravo cristo con un brutto carattere.  Sai la vita non è sempre così simpatica. Ero così buono e puro un tempo, da ragazzo.  Prima di tutto quel verde. Prima della colpa, quando ero brutto grasso e intelligentissimo. Avevo i miei libri e un bosco. Avevo una penna e una matita. E mi bastava. Non mi interessava la gente e immaginavo che prima o poi mi sarei trovato tra i personaggi dei libri. Buoni cattivi eterei mostruosi. Ma sempre grandi. Non m’importava molto del mondo. Poi lui arriva e ti spezza a metà. E già vedevo quella donna  nel limbo, non avevo ancora letto la sua storia: ero così piccolo. Mi sono sempre illuso di averla trovata ad ogni paio d’occhi belli. Poi ho smesso, tra le cosce di tutte le splendide passanti. Godendo il momento nel momento. Superbo e cinico come i veri grandi. Tu sei stata il mio ultimo sogno. Ma anche questo avrai dimenticato.  Chissà se hai mai creduto alle mie parole. Si muore così facilmente. E sai che ti dico mia cara? Cazzo se ti amavo.  Cazzo se ti amavo. E adesso non lo so più fare. Sei allergica ai fiori quindi non posso metterne sulla tua lapide. Me ne frego.  Fa ridere uno starnuto nell’oltretomba. Un’eroica ginestra nel deserto. Che ti ricordi, ancora, tutto quello che hai scelto di non essere.

Delia Cardinale

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