Quarta di copertina

«Ho rimorchiato una tipa» le disse, era per la coca, non si vantava di solito. Ma Rossana lo sapeva e lo capiva, era quello il bello. Con certe persone sai di non essere mai sbagliato.

L’amore ai tempi della droga è un modo per toccarsi senza essere realmente vicini. Amore chimico è la storia di giovani in cerca di risposte e identità, in precario equilibrio sul filo della vita.

© tutti i diritti riservati

è possibile riprodurre in parte citando la fonte.

Compra Amore chimico da Feltrinelli o da Amazon su Colori Vivaci Magazine:

http://www.lafeltrinelli.it/ebook/venticinque-davide/amore-chimico/9788891097583 ebook

http://www.lafeltrinelli.it/libri/venticinque-davide/amore-chimico/9788891096418 Libro

http://www.amazon.it/Amore-chimico-Davide-Venticinque-ebook/dp/B0123XJDS6/ref=tmm_kin_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr ebook Amazon

 

segue da parte 7

DOWN ALLE CALCAGNA

 

Matteo era in autobus, la sera scendeva fredda e inesorabile.

Poca gente, anime disperate, facce nere di colore e di mestizia lo circondavano. Eppure lui si sentiva il più affranto di tutti. Il più miserabile. Il più sporco.

Il down, col passo di zoccoli pesanti come di un cavallo nero, arrivava inesorabile.

Aveva imparato piano a non farsi troppo prendere dai pensieri, quando stai smaltendo un party non puoi concederti di pensare.

Leggeva di tutto, i cartelloni che vedeva appiccicati al muro, una volta ne aveva letto uno che diceva: «Pensare troppo confonde le idee» o era stato il suo cervello a farglielo vedere?

Quando era in bagno invece si tuffava nei giornali vecchi di giorni, sulle bottiglie di bagnoschiuma e shampoo. Tutto, purché i neri pensieri non prendessero il sopravvento e lo trascinassero giù.

Era tornato dalla festa domenica sera, ancora su una nuvoletta, leggera la testa come un palloncino gonfiato a elio. Aveva fatto una doccia, lavandosi a fondo, togliendo il suo sudore chimico dalla pelle e restituendogli l’odore dovuto. Era uscito in accappatoio dalla stanza da bagno ancora fumante, e aveva trovato Lana.

L’autobus si fermava e sbuffava, le sospensioni si abbassavano quando le porte si aprivano e altre anime stanche montavano a loro volta.

Ci aveva fatto l’amore per ore, il tempo quando stava con lei non esisteva, erano solo loro due e fuori dalla finestra il niente. Era come un posto sempre nuovo da esplorare il suo corpo. Bianco e rotondo, la sua pelle era come la droga e con lei si mischiava. Gli sembrava di tuffarsi in ogni suo poro e respirarla. Era un brivido caldo e intenso il suo godere con lei.

Il telefono era suonato e nessuno aveva risposto, il campanello dopo altre ore e la porta era rimasta chiusa, solo loro, che scopavano e si mordevano l’anima nella stanza.

L’autobus si fermò di nuovo, era arrivato, scese. Il vento fresco sul suo volto rigato.

I suoi amici lo aspettavano per la cena. Doveva riuscire a non pensare.

Quando era in quello stato non riusciva a vedere niente bello. Aveva due donne, a tanti sarebbe piaciuto, e a dire il vero piaceva anche a lui. Ma allora cosa era che non andava? Che cos’ era che gli impediva di essere felice, di non avere paura del buio e della solitudine.

Aveva bisogno delle persone giuste, di fumare, fumare e fumare. Di guardare un amico negli occhi, capirsi al volo senza parlare, di non sembrare strano a chi lo vedeva, se costruiva castelli con le carte da gioco o con qualsiasi altra cosa gli capitava tra le mani. Magari un cylum, carico di oblio e un sorriso velato con un amico vicino.

Al resto era meglio non pensare.

 

ASPETTANDO QUALCUNO

 

Lana era nella casa al mare dei genitori di Marco, l’estate era vicina, il sole già tiepido, l’aria tersa e profumata dalle onde.

Era un angolo di paradiso quello, una villa con grandi vetrate che davano sulla spiaggia deserta. Tutto era quiete.

Erano stati due giorni da soli, lei e Marco, dopo tanto che non lo vedeva e tutto ciò che ne era seguito. Avevano mangiato da Osvaldo, il ristorante poco distante, vicino a un faro e due faraglioni di roccia rossa. Cos’altro voleva? Perché continuava a incasinarsi la vita? Fosse riuscita a spegnere del tutto la coscienza almeno…

A queste cose pensava mentre aspettava Marco e i suoi genitori per la cena.

Aveva tutto. Un uomo, una casa, un’auto. Fare l’architetto era l’unico lavoro che volesse fare e aveva la fortuna di farlo. Eppure sentiva che arrancava, che non trovava piacere da tutto ciò che faceva e che a fatica aveva ottenuto. A volte le veniva come da cacciare un urlo da far tremare i muri e mandare tutto alla malora. Non ci sarebbe mai riuscita.

Non riusciva a fare a meno di ciò che la circondava, di quella casa col mare di fronte, della sicurezza che le dava il suo uomo, di sua suocera per quanto rompiscatole.

Era come sospesa e imprigionata dalle proprie scelte e sicurezze.

Si versò del vino, se si fosse ubriacata avrebbe retto meglio la cena, bastava star zitta per non darlo a vedere ai genitori di Marco, d’altronde non aveva mai parlato più di tanto. Per la famiglia di Marco era la spalla del suo uomo, che era il figlio prediletto, bello e intelligente, che avrebbe potuto diventare dottore e invece aveva preferito un lavoro manuale per nobiltà d’animo, e poi non aveva bisogno di preoccuparsi del denaro lui. C’erano sempre i suoi genitori.

Lei non aveva questa fortuna, se così si poteva chiamare, in Marco era stata fonte di poca grinta e convinzione. Lei aveva dovuto sempre badare a se stessa da quando era andata via da casa.

Se Marco non prendeva lavori aveva chi pagava la sua quota di mutuo.

Lo detestava perché due anni prima l’aveva in pratica costretta a lasciare il lavoro al pub. Fino ad allora aveva sempre fatto di testa sua, ma lavorare in un pub per Marco non era un lavoro. Era la classica opinione di chi non ha mai dovuto lavorare sul serio. Come artigiano però era bravo, le commissioni in pratica gli cascavano dal cielo, dal semplice passaparola tra

i suoi clienti. Tavoli e mobili che lei aveva disegnato e lui costruito erano sparsi tra le case sui colli ricchi di Bologna.

Tutto veniva da sé, il denaro, il tempo e col tempo le cose da fare. Semplici ma quasi inevitabili. Lana in fondo sentiva di subire la sua vita, di averne perso il timone per caso e non riuscire più a trovarlo. Era tutto un gran casino.

Quand’è che era successo, quando aveva smarrito il fine delle sue azioni, quand’è che si era persa dietro le cose da fare ogni giorno, uno dopo l’altro?…

O forse, semplicemente, una volta vista la meta si perdeva lo slancio della corsa. Si perdeva interesse. Non provava interesse per la sua vita, quasi fosse quella di un’altra, che sempre più detestava. Eppure non credeva possibile tornare in dietro, non a quel punto, aveva paura di trovarsi con un pugno di mosche. Solo il pensiero la fece rabbrividire. Mosche nere e verdi, che ronzano e sbattono nella tua mano chiusa, che pungono e mordono. Finché non le lasci andar via. E poi niente.

Solo Matteo riusciva a strapparla a tutto quello. Era come se le desse un’altra vita, un’altra chance, effimera, fatua, che non durava che il tempo di una notte.

Non poteva perderlo, se era vero che l’abitudine toglieva la brillantezza a ogni gesto, se la passione si trasformava ineluttabilmente in affetto, non poteva rinunciare a sentirsi viva.

Viva.

Seppure per una notte.

Era il suo modo di prendersi in giro, di non rassegnarsi.

Avrebbe voluto non perderlo mai.

MATTEO: INSONNIA

 

Sono steso da due ore, a letto, senza prendere sonno. Ho finito anche da fumare.

Non dormo da due notti, sono stato ad una festa megagalattica. Ora di megagalattico c’è solo il down che mi urla nelle orecchie.

Lei non si è vista, non si è sentita, starà scopando con quel coglione.

Il mio letto è duro da morire. Ho pippato tanto che a un certo punto mi sentivo Gig Robot d’acciaio. Avrei sfondato un muro se me lo fossi trovato davanti. Cazzo quanto stavo fatto, quanto sto fatto, ad ogni sorso di questa birra che si va riscaldando mi sale di nuovo tutto.

L’insonnia è un drappo nero e pesante posato sulle tempie.

Quando di solito il sonno prende il sopravvento, le palpebre, i muscoli della faccia, si distendono, come se i pensieri della giornata che abbiamo alle spalle lasciassero il posto nella nostra mente a prati sconosciuti, a cieli in cui volare.

L’insonnia ti accartoccia su te stesso, ti fa concentrare su un pensiero enorme o banale e te lo rigira, lentamente, come un coltello nelle budella della tua testa. L’insonnia è aver voglia solo di dormire e non riuscirci. È l’amplificarsi di tutti i rumori, ogni scricchiolio, ogni misterioso fruscio.

Il pensiero di lei, in tutto questo delirio, è solo una botola aperta verso l’abisso.

Come se il mio spirito più nero, il mio inconscio, prendesse il sopravvento e inghiottisse tutto l’altro Freud, tra fauci nere e profonde. Involuzione allo stato puro. Destrutturazione dell’Io e disfacimento totale.

A volte ho paura di restarci sotto. Di restare catatonico. Ho visto gente che c’è rimasta. Un tizio che non faceva che scendere dalla macchina e ripulirsi i calzoni, non poteva sopportare un solo granello di polvere, anche quello che non c’era, ingrassato di cinquanta chili, a tratti chiuso nel mutismo più totale, lui e il suo cervello bruciato, da soli. Anabolizzanti e pasticche possono far questo.

Un altro diventato una specie di clown, impacciato con le donne come un bambino di dieci anni, prima era il ragazzo che scopava di più che conoscessi, era diventato un segaiolo perché si era fissato che le vagine potessero cacciare i denti. Era rimasto sotto un trip. Aveva visto davvero ciò che temeva potete crederci.

Forse sto impazzendo anch’io.

A volte quando sono steso, da solo, e non riesco a dormire, se mi concentro forte riesco a sentire i pensieri di Lana. Ne sono sicuro, è come un bisbigliare portato dal vento, bisogna stare attenti, non è facile, a volte ci perdo delle ore.

Il tempo quando hai l’insonnia è una tagliola arrugginita serrata sopra il collo.

La sento anche scopare, e la odio in quei momenti. Come può, scopare con lui se scopa con me? Come cazzo può farlo, che cosa ci troverà mai? Nulla. Lo fa solo perché ci sta assieme, perché gli è dovuto. È solo una troia allora. Oppure è una cazzo di ninfomane e non ho capito un cazzo. Magari scopa anche altri uomini. Se prende in giro lui può prendere in giro anche me.

Dimmi coi pensieri Lana, chi sei. Dimmi, dal tuo animo più profondo, dove solo io posso incontrarti.

Dimmi e liberati, e liberami, perché la mia salute mentale non ne avrà per molto.

 

A OGNUNO IL SUO

 

È uscito con Silvia, non sa perché continua a vederla. Non lo emoziona più, la storia doveva finire e così non è stato. Forse è per distrarsi quando Lana non c’è, per avere calore umano, in certe sere che sembrano inutili, che fanno paura, quasi fossero sospese sull’orlo del nulla.

Quando rientra e Lana non è a casa, o quando c’è Marco, quando non esce e lui non può aspettare, magari a vuoto, che lei venga alla sua porta. Quando lei se ne va, dopo essersi presa il piacere di corsa, baciandolo e tuffandosi nella sua solita vita da cui lui è escluso.

Si sente smarrito allora, ha bisogno di ascoltare qualcuno, ha bisogno di scopare, di sfogare gli urli che ha dentro.

Silvia lo fa godere, Silvia si fa trattare come a lui piace, a Silvia piace il suo pene, gli fa di tutto e si fa fare tutto, Silvia gli prepara la cena, gli racconta la sua giornata, Silvia non lo lascia solo.

A volte si sente una merda, ma di solito dura poco, pensa che se lei gli sta vicino vuol dire che anche a lei fa piacere. Lui non le ha mai detto ‘ti amo’, non che sia una scusa, lo ha detto tante volte, e se l’è sentito dire tanto, che oramai è solo una piccola frase dal suono retrò.

I rapporti umani sono quello che sono, lui vorrebbe qualcosa di diverso da Lana, Silvia vorrebbe qualcosa di diverso da lui. Marco non vorrebbe che la sua donna scopasse come una pazza col suo vicino. Lana lo sa solo Dio cosa vuole.

Si cerca di fare ciò che si vuole… facendo ciò che si può.

Andranno in un ristorante carino che a Silvia piace, lui sarà dolce, le terrà la mano sul tavolo, la guarderà negli occhi. A casa poi la scoperà con forza, lei gli chiederà di goderle addosso, sulla schiena, in bocca, dove lui ha voglia, di usarla per il suo piacere, di fotterla.

Fottere, sappiamo solo fottere.

 

Potessimo vivere come gli alberi.

Con le radici piantate nella Madre Terra.

I rami tesi verso il cielo.

Ricoperti di vita.

Liberi.

 

SILVIA

 

Sono seduta che aspetto da quasi un’ora. Comincio a pensare di aver sbagliato a venire. Non risponde al telefono e non è in casa, non c’è nessuno in questa cazzo di casa.

Poi sento il rumore di un’auto e li vedo arrivare. Ridono sotto il parabrezza sfumato dal sole. Quando lui mi vede cambia faccia. Parcheggiano e lui scende.

«Silvia che ci fai qui? Aspetti da tanto?»

«Un’ora» dico io.

Lui apre il cofano senza neanche toccarmi.

«Conosci Lana vero?»

«La padrona di casa. Come no!»

‘Troia’ penso.

Lei è scesa e mi sorride.

«Ciao» mi passa accanto ed entra.

«Ti va una birra?… Com’è che ti chiami? Ah Silvia.»

‘Puttana’, penso io.

«Bella fredda grazie» le dico.

Matteo mi passa accanto coi sacchi della spesa e mi da un bacio sulla guancia. Freddo. Come la mano di un morto. E io che amo questo uomo.

Oramai ne sono convinta, una parte di noi non vuole che l’autodistruzione.

«Perché non mi hai chiamato?» mi fa lui mentre chiude la porta alle mie spalle.

«Veramente l’ho fatto ma non rispondevi. Non ti sento da due giorni.»

«Che coglione che sono, devo avere lasciato il telefono in casa quando sono rientrato dal lavoro. Poi mi sono accorto che avevo il frigo vuoto…»

«Anche lei aveva il frigo vuoto?» faccio guardando la puttana che prende le birre.

«Marco è fuori per lavoro, è senza macchina e le ho chiesto se aveva bisogno. Vieni qua.»

Mi si avvicina e mi da un altro bacio, questa volte sulle labbra. Sa essere così stronzo. Lo detesto e lo adoro. E dire che cercavo una cosa semplice, un bravo ragazzo da amare, con la testa sulle spalle. Un cazzo di principe azzurro che mi portasse via da tutta questa merda. Perché mi innamoro di quelli belli? Sono i peggiori. Si concedono il gusto di sceglierti, neanche fossi una gallina appesa sul banco di un macellaio.

Questa troia poi… Guardala, sembra una santa, non dice più di tre parole in fila, ma l’ho sentito l’acido prima, quando mi ha parlato. L’acido che è nella bava della cagna che non vuole mollare l’osso.

Continua…

( parte 1) https://www.colorivivacimagazine.com/2015/12/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-1/

(parte 2) https://www.colorivivacimagazine.com/2015/12/amore-chimico-parte-2/

(parte 3) https://www.colorivivacimagazine.com/2015/12/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-3/

(parte 4) https://www.colorivivacimagazine.com/2015/12/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-4-2/

(parte 5)  https://www.colorivivacimagazine.com/2016/01/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-5-e-link-a-precedenti/

(parte 6) https://www.colorivivacimagazine.com/2016/01/httpwww-colorivivacimagazine-com201601amore-chimico-k-a-precedenti/

(parte 7) https://www.colorivivacimagazine.com/2016/01/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-7-e-link-a-precedenti/

(parte 8) https://www.colorivivacimagazine.com/2016/01/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-8-e-link-a-precedenti/

(parte 9) https://www.colorivivacimagazine.com/2016/02/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-9-e-link-a-precedenti/

(parte 10) https://www.colorivivacimagazine.com/2016/02/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-10-e-link-a-precedenti/

(parte 11) https://www.colorivivacimagazine.com/2016/02/amore-chimico-di-davide-venticinque-parte-11-e-link-a-precedenti/

(parte 12) https://www.colorivivacimagazine.com/?s=amore+chimico

 

photo: Alana Paterson

 

1 commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*