Era quasi mezzanotte quando spensi la televisione.

Non sopportavo più quei talk show pieni di virologi che si azzuffavano a proposito della ventesima ondata.

O era la ventiduesima? Ormai avevo perso il conto, come tutti del resto.

Erano passati anni da quando c’era il coprifuoco alle 18 e lo smart working era diventato la norma.

C’eravamo tutti rassegnati alla “nuova vita”, come la chiamavano adesso.

Beh, tutti non proprio.

A parte il consumo dilagante di psicofarmaci e droghe illegali, si mormorava nelle chat criptate di un aumento inarrestabile dei suicidi, ovviamente censurato dalla stampa che li faceva passare per incidenti o decessi naturali.

La “grande depressione” dovuta alla solitudine era così intensa e pervasiva, che la si poteva quasi annusare nell’aria le rare volte che si usciva di casa per fare la spesa nei pochissimi negozi fisici sopravvissuti.

Io invece me la passavo benissimo. Rientravo infatti in quelli che Jung già all’inizio del Novecento aveva catalogato come tipi psicologici introversi.

In realtà la mia più che timidezza era diventata una vera e propria fobia sociale, tanto che in tempi pre-pandemici sarei stato chiamato un hikikomori.

Insomma mi ero recluso da solo, ben prima che ci costringessero a farlo, e non c’era cosa più bella per me che non dover più andare in ufficio e poter fare tutto comodamente online.

Del resto ci avevo messo una vita ad accumulare tanti fantastici libri, dischi, film e videogiochi che avrebbero richiesto decenni o forse secoli per poter essere goduti.

L’unica cosa che mi mancava davvero era il tempo, per il resto stavo alla grande. Darwin affermava che non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento.

Nel mondo di prima noi introversi eravamo emarginati e considerati degli sfigati, adesso però i disadattati erano gli estroversi. Tutto sarebbe stato perfetto se solo non avessi dovuto vedere ogni volta l’angoscia dipinta sul volto della poca gente che incrociavo per strada. Purtroppo anche noi introversi soffriamo di empatia.

Un articolo di Valentino Colapinto

per CommunicAction, laboratorio di scrittura in diretta

Immagine di copertina di © ICONEO

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